Quando studiavo inglese a scuola, a un certo punto della lezione, tipicamente verso la fine, l’insegnante annunciava con un certo guizzo: “E adesso… vocabolario!”. Un incubo. Tendenzialmente veniva selezionato un argomento a caso, del tutto distante dal tema della lezione (tema grammaticale, s’intende), e di quell’argomento ci venivano fornite interminabili liste di parole, leggendo le quali noi, poveri studenti non particolarmente motivati, saremmo stati in grado di dire frasi di indubbia inutilità, di scarso senso e di totale piattezza comunicativa. Avremmo sì saputo dire in inglese “lampadina”, “lampadario”, “plafoniera”, “piantana” e via discorrendo, ma ovviamente ci saremmo dimenticati in pochi minuti del lessico costretti ad apprendere. La fase di verifica, invece, si riduceva a un elenco sconnesso di parole da tradurre in inglese. Senza un contesto. Senza una frase. Senza, soprattutto, un’utilità.
Ovviamente di quel lessico non ricordo una parola.
Lavorare sul vocabolario e sul lessico non è affatto facile. La noia è dietro l’angolo, motivare la classe non è semplice e inserire il lavoro durante la lezione può risultare un grande sforzo: insomma, il lavoro sul vocabolario è tanto utile quanto rischioso.
Il primo punto, al solito, è la motivazione: perché ampliare il mio vocabolario? Creare un bisogno nei nostri studenti, o meglio, farli riflettere su un loro bisogno comunicativo, è il primo, necessario passaggio per poter introdurre una qualsiasi attività, vocabolario compreso. Trovare un’esigenza reale per poter stimolare l’apprendimento del vocabolario da parte dei nostri studenti è sempre il primo punto verso una didattica più precisa, e che effettivamente risponda a un bisogno, a un’esigenza dello studente.
Le tecniche, poi, con le quali lavorare sul lessico sono sostanzialmente due: partire da un testo o partire da un argomento.
Quando si parte da un testo (audio o video) il più delle volte (lo fanno anche molti manuali), dopo una comprensione generale, dopo una lettura analitica, dopo una riflessione grammaticale, si passa all’analisi lessicale del testo stesso. Si cercano le parole non nuove e si spiegano, nella migliore delle ipotesi con un metodo induttivo, i significati di quei vocaboli. Per i livelli intermedi e avanzati questo si traduce in una lista di parole non necessariamente connesse tra loro che gli studenti dovrebbero apprendere non si sa sotto quale mistica influenza. Ipotizzando che in un testo di 500 parole gli studenti non conoscano il 5% dei vocaboli presenti (stima, comunque, al ribasso), questo approccio implica la spiegazione dei significati di 25 vocaboli nuovi. Se la classe impara due vocaboli dei 25, siamo molto fortunati. L’approccio non può essere questo: di un testo letto o ascoltato deve sempre rimanere una percentuale di significato che gli studenti non siano in grado di comprendere. Per carità, più si va avanti con la competenza linguistica, maggiori sono le sfumature che gli studenti sanno cogliere, però se di un testo comprendono il 100% dei significati, vuol dire che il testo proposto è troppo semplice. La soluzione è scegliere un paio di vocaboli sconosciuti nel testo e lavorare su quelli. Un esempio: qualche tempo fa ho letto un articolo di giornale con una classe. Tra la ventina di vocaboli di significato sconosciuto, ho selezionato “memoriale”. Abbiamo desunto dal contesto il significato del termine (dell’aggettivo, nel caso di specie), abbiamo scoperto che esiste un sostantivo identico con un significato molto simile, abbiamo trovato delle espressioni radicate, sia col sostantivo, sia con l’aggettivo (presentare un memoriale, una lettera memoriale…), e abbiamo provato ad ampliare il campo semantico: siamo passati a memoria, memorizzare, memorabile, immemore… Abbiamo, insomma, creato un albero di parole (o una rete, come preferite!): abbiamo creato un contesto, qualcosa che leghi i vocaboli tra loro (in questo caso la vicinanza etimologica e strutturale), un filo rosso per collegare le parole tra loro. E come si collegano le parole, così si attivano i meccanismi dell’apprendimento. Lo studente capisce il sistema della formazione delle parole in italiano e lo riutilizza creativamente con altre parole-basi. Stiamo insegnando, dunque, non solo le parole legate a memoria, ma anche stiamo mostrando come lavorare con le parole, cosa farne, come crearne di nuove…
C’è chi preferisce partire da un argomento, magari legato al tema della lezione, e da quello creare una rete di significati affini (ma strutture diverse). Leggiamo un testo che parla di piante e introduciamo: vaso, giardinaggio, potare, vivaio, ramo, sempreverdi, rampicanti, concime… Questa seconda modalità pare più utile soprattutto nei livelli bassi, dove, aiutandoci magari con immagini o con sussidi appositi, è più comodo fornire il vocabolario necessario a descrivere un contesto. È un tipo di lavoro decisamente più funzionale, che attiva in misura minore la creatività degli studenti, ma che consente, tra l’altro, delle attività di riuso più pratiche e adatte anche agli elementari.
Il riuso, lo sappiamo bene, è fondamentale: nell’immediato capiremo se gli studenti hanno veramente compreso il nuovo lessico; a distanza di tempo noteremo se il lavoro svolto è stato appreso o effettivamente acquisito.