Italiano per stranieri!

Come insegnare l'italiano L2, material gratuiti

  • Home
  • Iscriviti
  • Insegnare
  • Scrivere
  • Studiare
    • Verbi
    • Grammatica
    • Vocaboli
    • Modi di dire
    • Letture
  • Articoli
Ti trovi qui: Home / Articoli per docenti di italiano L2

Il vocabolario: qualche consiglio per lavorare sul lessico

Giugno 12, 2016 by itxstra

di Roberto Gamberini

Quando studiavo inglese a scuola, a un certo punto della lezione, tipicamente verso la fine, l’insegnante annunciava con un certo guizzo: “E adesso… vocabolario!”. Un incubo. Tendenzialmente veniva selezionato un argomento a caso, del tutto distante dal tema della lezione (tema grammaticale, s’intende), e di quell’argomento ci venivano fornite interminabili liste di parole, leggendo le quali noi, poveri studenti non particolarmente motivati, saremmo stati in grado di dire frasi di indubbia inutilità, di scarso senso e di totale piattezza comunicativa. Avremmo sì saputo dire in inglese “lampadina”, “lampadario”, “plafoniera”, “piantana” e via discorrendo, ma ovviamente ci saremmo dimenticati in pochi minuti del lessico costretti ad apprendere. La fase di verifica, invece, si riduceva a un elenco sconnesso di parole da tradurre in inglese. Senza un contesto. Senza una frase. Senza, soprattutto, un’utilità.

Ovviamente di quel lessico non ricordo una parola.

Lavorare sul vocabolario e sul lessico non è affatto facile. La noia è dietro l’angolo, motivare la classe non è semplice e inserire il lavoro durante la lezione può risultare un grande sforzo: insomma, il lavoro sul vocabolario è tanto utile quanto rischioso.

Il primo punto, al solito, è la motivazione: perché ampliare il mio vocabolario? Creare un bisogno nei nostri studenti, o meglio, farli riflettere su un loro bisogno comunicativo, è il primo, necessario passaggio per poter introdurre una qualsiasi attività, vocabolario compreso. Trovare un’esigenza reale per poter stimolare l’apprendimento del vocabolario da parte dei nostri studenti è sempre il primo punto verso una didattica più precisa, e che effettivamente risponda a un bisogno, a un’esigenza dello studente.

Le tecniche, poi, con le quali lavorare sul lessico sono sostanzialmente due: partire da un testo o partire da un argomento.

Quando si parte da un testo (audio o video) il più delle volte (lo fanno anche molti manuali), dopo una comprensione generale, dopo una lettura analitica, dopo una riflessione grammaticale, si passa all’analisi lessicale del testo stesso. Si cercano le parole non nuove e si spiegano, nella migliore delle ipotesi con un metodo induttivo, i significati di quei vocaboli. Per i livelli intermedi e avanzati questo si traduce in una lista di parole non necessariamente connesse tra loro che gli studenti dovrebbero apprendere non si sa sotto quale mistica influenza. Ipotizzando che in un testo di 500 parole gli studenti non conoscano il 5% dei vocaboli presenti (stima, comunque, al ribasso), questo approccio implica la spiegazione dei significati di 25 vocaboli nuovi. Se la classe impara due vocaboli dei 25, siamo molto fortunati. L’approccio non può essere questo: di un testo letto o ascoltato deve sempre rimanere una percentuale di significato che gli studenti non siano in grado di comprendere. Per carità, più si va avanti con la competenza linguistica, maggiori sono le sfumature che gli studenti sanno cogliere, però se di un testo comprendono il 100% dei significati, vuol dire che il testo proposto è troppo semplice. La soluzione è scegliere un paio di vocaboli sconosciuti nel testo e lavorare su quelli. Un esempio: qualche tempo fa ho letto un articolo di giornale con una classe. Tra la ventina di vocaboli di significato sconosciuto, ho selezionato “memoriale”. Abbiamo desunto dal contesto il significato del termine (dell’aggettivo, nel caso di specie), abbiamo scoperto che esiste un sostantivo identico con un significato molto simile, abbiamo trovato delle espressioni radicate, sia col sostantivo, sia con l’aggettivo (presentare un memoriale, una lettera memoriale…), e abbiamo provato ad ampliare il campo semantico: siamo passati a memoria, memorizzare, memorabile, immemore… Abbiamo, insomma, creato un albero di parole (o una rete, come preferite!): abbiamo creato un contesto, qualcosa che leghi i vocaboli tra loro (in questo caso la vicinanza etimologica e strutturale), un filo rosso per collegare le parole tra loro. E come si collegano le parole, così si attivano i meccanismi dell’apprendimento. Lo studente capisce il sistema della formazione delle parole in italiano e lo riutilizza creativamente con altre parole-basi. Stiamo insegnando, dunque, non solo le parole legate a memoria, ma anche stiamo mostrando come lavorare con le parole, cosa farne, come crearne di nuove…

C’è chi preferisce partire da un argomento, magari legato al tema della lezione, e da quello creare una rete di significati affini (ma strutture diverse). Leggiamo un testo che parla di piante e introduciamo: vaso, giardinaggio, potare, vivaio, ramo, sempreverdi, rampicanti, concime… Questa seconda modalità pare più utile soprattutto nei livelli bassi, dove, aiutandoci magari con immagini o con sussidi appositi, è più comodo fornire il vocabolario necessario a descrivere un contesto. È un tipo di lavoro decisamente più funzionale, che attiva in misura minore la creatività degli studenti, ma che consente, tra l’altro, delle attività di riuso più pratiche e adatte anche agli elementari.

Il riuso, lo sappiamo bene, è fondamentale: nell’immediato capiremo se gli studenti hanno veramente compreso il nuovo lessico; a distanza di tempo noteremo se il lavoro svolto è stato appreso o effettivamente acquisito.

Archiviato in:articoli

3 esperienze che ogni insegnante dovrebbe fare (almeno una volta)

Giugno 7, 2016 by itxstra

di Chiara Pegoraro

Corsi, aggiornamenti, riviste, articoli e seminari, sono tutte esperienze che cerchiamo di fare di tanto in tanto per stimolare la nostra crescita professionale. Oggi invece voglio parlarvi di alcune esperienze di vita che ogni bravo insegnante dovrebbe fare, almeno una volta.

Studiare una lingua straniera, meglio se esotica, meglio se in un corso L2

C’è un paradosso nella nostra categoria. Un insegnante di yoga è stato uno studente di yoga. Lo stesso vale per un professore di matematica, un istruttore di pugilato e un maestro di clarinetto. Questo è un paradosso: la lingua madre è l’unico campo della trasmissione del sapere in cui chi insegna non è stato studente a sua volta. Il rimedio migliore a questo problema, purtroppo, non è il corso di spagnolo alla biblioteca di quartiere.

Provate invece a cimentarvi con una lingua completamente diversa dalla nostra. Provate l’ebbrezza di sentire o leggere un testo dove non avete nessun appiglio per la comprensione. Osate con qualche lezione di arabo, turco, cinese o giapponese, imparerete più cose sullo shock linguistico che leggendo mille trattati di glottodidattica. E già che ci siete, se avete dei soldi da spendere, potete fare una vacanza molto intelligente e frequentare un corso L2. Quando tornerete forse non saprete perfettamente l’arabo, il turco, il cinese o il giapponese, ma sarete senz’altro insegnanti più preparati.

Vivere all’estero

Di solito funziona così: cinque anni di inglese alle superiori, tre all’università e quando arrivi in Inghilterra, sei comunque confuso. Studiare una lingua in una scuola e viverla tutti i giorni sono due cose ben diverse. E soprattutto vivere da immigrato, non da turista, non da studente, ma da persona che tutti i giorni fa la spesa, lavora e chiama casa un paese straniero. Lo shock culturale avrà un significato ben chiaro solo quando sarete completamente immersi nella realtà di un altro paese.

Fare un corso di teatro

Dentro ad ogni insegnante c’è sempre un grande attore, lo diceva pure Checov. Dall’uso e la proiezione della voce, da come si muove nel palco/aula, alla capacità di tenere in pugno il pubblico/classe, sono molte le aree in comune fra il lavoro di insegnante e quello di attore. Provate a fare un’esperienza diversa dalle solite e per un anno iscrivetevi a un corso di teatro. Poi portate in classe quello che avete appreso, non ve ne pentirete.

Archiviato in:articoli

4 oggetti low-cost per movimentare una lezione

Maggio 30, 2016 by itxstra

di Chiara Pegoraro

La vita a scuola, si sa, alla lunga diventa routine. Ecco quattro oggetti da usare per movimentare le lezioni per una spesa totale di 15 euro, a portata di insegnante sottopagato.

1. Campanella da albergo4oggetti1

Uno dei trucchi più classici per mantenere l’attenzione è di stimolare la competitività degli studenti. Qualsiasi esercizio di grammatica diventa più animato se trasformato in un quiz a squadre. E qualsiasi quiz sembra più realistico se i concorrenti hanno un pulsante da premere. Prezzo 3,00€

4oggetti22. Post-it

Questo è uno degli oggetti più scontati. Le borse dei bravi insegnanti devono sempre avere una buona scorta di post-it. Si possono attaccare sui compagni, sugli oggetti o sui vestiti quando si studia il lessico. Se ci scrivete sopra le preposizioni e li date agli studenti da attaccare alla lavagna in corrispondenza di un esempio, diventano un ottimo strumento per la grammatica induttiva. Prezzo 1,50€

3. Mazzo di carte4oggetti3

Anche quelle da poker vanno bene, ma quelle da briscola sono perfette. Esotiche (ci sono solo in Italia) e con le varianti regionali, per gli studenti sono spesso degli oggetti curiosi. In classe sono ottime per rimescolare gli studenti. Per esempio, dopo un po’ che è iniziata la lezione vi rendete conto che le coppie che si sono formate all’inizio non vanno più bene. Alcune sono troppo lente, altre troppo veloci, altre sono troppo amiche e non fanno altro che chiacchierare. Distribuite le carte e raggruppateli di nuovo, coppe con coppe e fanti con fanti. È l’oggetto più caro che vi propongo oggi, ma di solito ne abbiamo tutti almeno un mazzo in casa. Prezzo 7,00€

4. Timer da cucina4oggetti4

Spesso a scuola si fanno attività a tempo. Con alcune tecniche poi, se la classe è mediamente popolata, la situazione diventa abbastanza rumorosa in fretta. Voi dovete girare tra i banchi, controllare il lavoro degli studenti, prendere mentalmente nota delle correzioni da fare alla fine e vedere che tutto proceda regolarmente. Levatevi un pensiero e non controllate l’orologio ogni trenta secondi. A inizio attività fate partire il timer e quando squilla, è finita. Prezzo 3,50€

E voi, avete qualche materiale a basso costo del cuore?

Archiviato in:articoli

Le certificazioni che servono per insegnare italiano

Maggio 23, 2016 by itxstra

di Chiara Pegoraro

Il lavoro di insegnante di italiano per stranieri purtroppo non gode di un riconoscimento istituzionale. Questo ha contribuito negli anni al proliferare di corsi di specializzazione, certificazioni, master, corsi di laurea e tirocini. Per chi sceglie di avvicinarsi a questa professione la tentazione di riempire il proprio curriculum di titoli e certificati è forte, ma non sempre paga. Oggi cercheremo di dare qualche consiglio su come scegliere al meglio.

1. Val più la pratica della grammatica

Ricordatevi bene questa regola perché poi vi tornerà utile quando insegnerete. Applicata alla formazione insegnanti significa di non prescindere da una formazione pratica. In teoria la differenza principale fra master e certificazioni sta nell’esperienza pregressa. La certificazione serve appunto a certificare competenze già esistenti, mentre il master è un corso di studi professionalizzante volto a creare esperienza e competenza teorica. Nella pratica invece sappiamo tutti che i candidati delle certificazioni hanno in generale pochissima esperienza. Che abbiate esperienza o meno, un corso che non ha tirocinio, non prevede affiancamento o osservazione in classi di italiano L2, dovrebbe farvi venire qualche sospetto. Come può prepararvi a insegnare un corso dove non vedete mai uno studente? Il tirocinio può essere difficile da organizzare e poco accessibile per chi studia e lavora ma è necessario.

2. L’importanza del nome

È brutto ammetterlo ma finché non ci saranno requisiti standard dettati dalla legge, il nome dell’istituzione che rilascia la certificazione ha importanza. Non scegliete un corso solo perché costa poco e si trova dietro l’angolo, controllate che provenga da un’istituzione seria. Ma allo stesso tempo…

3. Non la sciatevi incantare dalle sirene

Il nome non è tutto. Verificate che oltre al nome, l’istruzione che offre il corso goda di una fama meritata. Parlate con qualcuno che lo ha fatto prima di voi e valutate anche in base alla sua esperienza.

4. Solo per i non-madrelingua

Se volete diventare insegnante di italiano ma non siete madrelingua, diffidate delle scorciatoie. Alcune istituzioni si accontentano del B2, altre vogliono il C2. Siate onesti con voi stessi: secondo voi un livello intermedio è sufficiente per insegnare una lingua?

Buono studio!

Archiviato in:articoli

C1 e C2: quando il materiale scarseggia

Maggio 16, 2016 by itxstra

di Roberto Gamberini

Non sono moltissimi, in percentuale, i corsi di livelli alti nei quali capita di insegnare, anzi! L’esperienza nei nostri anni di insegnamento ci fa dire proprio il contrario: conosciamo a memoria i corsi di livello A1, le prime lezioni per noi non hanno più segreti e i principianti sono il nostro pane quotidiano.

Quando ci capitano in sorte dei corsi di livello avanzato, siamo sempre un po’ incerti: non sappiamo se essere felice perché finalmente possiamo sbizzarrirci un po’, o se essere preoccupati dalla piega imprevista che potrebbero prendere le nostre lezioni.

Il materiale didattico disponibile, inoltre, non ci aiuta molto: i testi di livelli C1 (e, soprattutto, C2) non sono molti, anzi. Un paio di manuali utili ci sono, ma tendono spesso a essere noiosi e un po’ ripetitivi, o a presentare testi troppo lunghi. A causa, tra l’altro, della spiccata consapevolezza linguistica (e metalinguistica) degli studenti, inoltre, capita spesso che questi manuali vengano criticati, quando noi boicottati, dalle classi stesse. Sicuramente questa situazione migliorerà col tempo, e con la crescente consapevolezza delle case editrici, che sono sempre più attente e propositive per ciò che riguarda la ricerca editoriale.

Il problema si pone quando siamo noi a dover trovare del materiale proprio per supplire a questa mancanza: progettare unità didattiche a partire da materiale autentico non è sempre semplice con i livelli alti, non ultimo per il panorama infinito di testi autentici cui attingere.

Il giornale. Molti colleghi utilizzano in classe articoli di giornale. Benedetti quotidiani: in caso d’emergenza sono sempre un ottimo escamotage per salvarci durante una lezione. Come didattizzare un articolo di giornale? Che tipo di articolo scegliere? Che tipo di lavoro proporre sul testo? Qui le risposte sono infinite. Con i quotidiani si lavora molto bene, a esempio, su attività di confronto stilistico: la stessa notizia riletta da due quotidiani diversi assume due diverse sfumature (spesso discordanti tra loro): sia che si parli di politica, sia che si tratti di cronaca o di cultura, è molto interessante il lavoro sulla distanza, anche linguistica, tra i vari quotidiani italiani. Questa tipologia di esercizio è anche particolarmente adatta a corsi che si svolgono online, magari su Skype.

Anche le attività creative sono molto interessanti: far scrivere un articolo di giornale a una classe è un’operazione sempre piacevole e stimolante, che può concludersi anche in una sola lezione. Si crea una notizia inventata (o se ne prende una vera, magari da un’agenzia di stampa), si prova a riprodurre il lavoro del giornalista (intervistando ipotetici soggetti interessati, scegliendo una foto da abbinare al nostro articolo, dando alla classe la lunghezza del testo che stiamo richiedendo…) e si scrive un articolo di giornale vero e proprio, partendo da occhiello e titolo e riproducendo la tipologia della scrittura dei periodici e dei quotidiani. Si tratta di un’attività completa, che consente di lavorare parallelamente su diverse competenze, ricettive e produttive, scritte e orali.

La letteratura. Qui l’editoria di italiano per stranieri ci aiuta decisamente di più: esistono diversi sussidi che didattizzano dei racconti, o dei brani, della nostra letteratura e narrativa, soprattutto in prosa. Le classi C1 e C2 lavorano molto bene sulla letteratura: si tratta anche di un ottimo modo per motivare le classi, inserendo degli elementi culturali che fa piacere agli studenti comprendere di essere in grado di apprezzare. Le attività che possiamo mettere in pratica sono tante, e non si pensi solo alla comprensione del testo, che è una minima parte del lavoro che possiamo fare in classe. Gli studenti amano familiarizzare con un autore, creare delle reti e delle interconnessioni tra testi diversi/autori diversi. Se si ha tempo a disposizione, scrivere un racconto o creare un’antologia di classe è un ottimo progetto che rende coeso il gruppo e coerente il lavoro, lezione per lezione. Si tratta di spunti che la moderna didattica per progetti sviluppa molto bene, e che è utile e fruttuoso sperimentare in classe.

Il cinema. Lavorare con il cinema è meno facile di quanto si pensi. Vuoi perché tecnicamente spesso è più complicato estrapolare dei brani di un film che possano fare al caso nostro (non penseremo mica di proporre 110 minuti di film in classe, vero?), vuoi perché spesso non si dispone dei mezzi tecnici necessari. Certo è che quando il lavoro col cinema riesce, è un lavoro bellissimo. Le classi si appassionano sempre alle storie che vedono, soprattutto se sono state ben motivate, e gli elementi non verbali della comunicazione cinematografica riescono sempre a introdurre nuovi punti di vista e spunti di rifelessione nella classe. Né bisogna dimenticare l’importanza di fornire alla classe (soprattutto se siamo in ambiente LS) delle varietà linguistiche diverse da quella dell’insegnante, soprattutto dal punto di vista diatopico. Con classi molto avviate, magari di ragazzi giovani, con un po’ di tempo a disposizione, con una passione specifica dell’insegnante, far girare ai ragazzi un cortometraggio è un esercizio oltremodo elettrizzante: dall’ideazione alla stesura della sceneggiatura, dalle prove alla effettiva relizzazione, si tratta di un fare lingua moderno e piacevole, che impone una progettualità importante e una buona dose di creatività.

Il giornale, la letteratura e il cinema sono solo tre esempi: esempi di come si possa lavorare bene in classe pur non seguendo rigorosamente l’unità didattica presente nel libro. Anzi: i libri di testo sono degli spunti di riflessione. È lavoro dell’insegnante partire da quello spunto per superarlo, per andare avanti e costruire altri mondi creati su misura per le nostre classi.

Archiviato in:articoli

Lingua seconda, lingua straniera: questioni di confini

Maggio 9, 2016 by itxstra

di Roberto Gamberini

Le riflessioni glottodidattiche di molti addetti ai lavori partono spesso, per non dire sempre, da un dato: dalla distinzione sulle caratteristiche dell’apprendimento in ambienti L2 ed LS. Per ripetere un concetto noto ai più: la distinzione teorica tra L2 (lingua seconda) e LS (lingua straniera) è opera di Paolo Balboni, uno dei pilastri della glottodidattica italiana. Egli sostiene, nelle sue attente osservazioni, che si possono delineare delle caratteristiche diverse tra l’apprendimento (e di conseguenza l’insegnamento) di una lingua a seconda del contesto ove questo apprendimento avvenga. Meglio: un corso di italiano a stranieri svolto in una scuola di Roma avrà delle caratteristiche ben diverse rispetto allo stesso corso svolto in una scuola di Parigi, di Tunisi o di Pechino. Sono molti i fattori che, continuando a citare Balboni, influenzano questa distinzione. La maggior parte di questi fattori, però, riguarda l’ambiente che circonda gli studenti: degli alunni trapiantati a Roma e costretti a usare l’italiano per capire la realtà che li circonda saranno esposti a una quantità molto maggiore di stimoli rispetto allo studente parigino che una volta a settima studia italiano per due ore all’Istituto di Cultura della sua città.
L’immersione linguistica, insomma, è un fattore determinante nella didattica: l’input che lo studente straniero in Italia riceve (siamo dunque in ambiente L2) è quantitativamente molto maggiore rispetto allo stesso straniero che decidesse di seguire un corso fuori dall’Italia, in contesti dove l’italiano non è la lingua prima, ma è una lingua straniera.

La pratica complica le cose: non è detto, infatti, che i contesti L2 siano quelli dove lo studente possa davvero imparare meglio. Pensiamo ai migranti che quotidianamente arrivano nel nostro Paese: sono esposti a un input sovrabbondante, e la loro emergenza comunicativa, la necessità, per sopravvivere, di parlare italiano, li costringe a trovare dei modi di comunicazione in fretta, con pochissime mediazioni. Il più delle volte non hanno la possibilità di ricevere un’educazione formale di lingua italiana: imparano sui cantieri, o nelle case degli anziani che accudiscono, nei ristoranti dove lavorano. È molto comune, col passare del tempo, un netto sbilanciamento tra le capacità di produzione e ricezione orale (che raggiungono in fretta livelli piuttosto alti di competenza) e capacità di produzione e ricezione scritta, che invece, mancando un’educazione linguistica formale e consapevole, rimangono molto elementari. Altro fenomeno interessante in quest’ottica è quello della cristallizzazione degli errori o di pratiche linguistiche non corrette. Capita molto spesso, infatti, che in contesti L2 nei quali l’educazione linguistica arrivi tardi (o manchi proprio del tutto), degli errori piuttosto banali si cristallizzino nella produzione dei parlanti, i quali, non avendo avuto la giusta correzione al momento giusto, sono portati a percepire come corretto un certo fenomeno e lo ripropongono acriticamente.

Questo per dire che l’ambiente L2 non è libero da rischi di uno scorretto apprendimento, anzi. Sembrano, di contro, evidenti i vantaggi che l’insegnamento in L2 possa offrire: in primis la possibilità, per lo studente, di essere esposto a stimoli linguistici più numerosi e variegati. Non solo, dunque, le ore di lezioni frontali che lo studente segue in classe, con un input mediato, controllato, selezionato e attentamente scelto, ma anche l’esposizione (spesso la sovraesposizione!) a tutti gli input linguistici ottenuti, più o meno volontariamente, dall’ambiente circostante.

Si pongono delle questioni singolari che riguardano quelle zone di confine non chiarissime, o quelle situazioni didattiche che presentano caratteristiche a cavallo tra i due diversi ambiti.

Sono a tal proposito molto interessanti, per esempio, le classi all’interno di ambasciate, o di istituti religiosi o università straniere: sebbene siano corsi che si svolgono in Italia, sebbene gli studenti siano teoricamente esposti a un grande input linguistico spontaneo e non mediato, spessissimo vediamo che i risultati che otteniamo sono molto più lenti di quanto noi non ci immaginassimo. Perché? Studenti che provengono tutti dallo stesso Paese, che continuano a comunicare tra di loro nella loro lingua (l’italiano, spesso, non gli serve nemmeno così tanto), che si frequentano tra loro e che hanno pochi contatti con madrelingua. Che si portano un pezzo di casa in Italia, e non vogliono lasciarla, non hanno tempo per abbandonarla. Spesso, insomma, le caratteristiche delle classi sono molto più di LS che di L2: e di conseguenza le nostre azioni didattiche (e le nostre aspettative) devono essere ritarate. Dovremo ripensare il manuale che scegliamo (se scegliamo un manuale), dovremo rallentare il ritmo delle lezioni e non dare per scontata l’acquisizione di fenomeni linguistici che supponiamo gli studenti abbiano imparato fuori dall’aula.

È interessante anche il caso contrario, ovvero quei corsi che hanno tutte le caratteristiche sulla carta di corsi LS ma si presentano, nella realizzazione, molto più vicino di quanto non ci si aspetti a corsi L2. È il caso, nella mia esperienza, di molti corsi online. Capitano, infatti, parecchi studenti molto motivati che imparano l’italiano senza seguire un corso in persona, ma frequentando corsi online. Sono studenti che spesso utilizzano diverse tecnologie: dai programmi di autoapprendimento alle lezioni su Skype. Sono studenti che seguono la TV italiana, che leggono in lingua e vedono film. Insomma: che fanno di tutto per immergersi, anche a distanza, nella lingua e nella cultura di un Paese che amano. Al contrario dell’esempio di prima, questi studenti si prendono un pezzetto di Italia e lo portano con loro, anche se in mezzo c’è un oceano e diverse ore di volo. Sono studenti appassionati e colti, motivati e partecipi, che cercano stimoli linguistici e non si limitano a quell’oretta di lezione settimanale. Insomma: sono studenti sui quali sono decisamente proiettabili i metodi di insegnamento e le aspettative che di solito si riservano ai contesti L2.

Questi due esempi vogliono soprattutto dare uno spunto per riflettere: l’insegnamento non è una scienza esatta. Nostro compito è sempre cogliere le sfumature, farci domande, non dare per scontati i contesti e le risposte. D’altronde se avessimo voluto una vita professionale fatta di certezze e stabilità, verosimilmente non avremmo mai deciso di insegnare!

Archiviato in:articoli

Quale italiano? Riflessione sulla lingua che insegniamo

Maggio 1, 2016 by itxstra

di Roberto Gamberini

Tutte le considerazioni teoriche che formano il nostro bagaglio, tutta la consapevolezza didattica che ci impegniamo quotidianamente a dimostrare con i nostri studenti, ogni atto comunicativo che cerchiamo di far comprendere in aula, tutto il panorama linguistico che vogliamo trasmettere, insomma, si piega davanti a una prima domanda: quale italiano sto insegnando?

Fatti salvi alcuni contesti settoriali, nei quali la risposta al quesito è data dalla tipologia stessa del corso che ci viene assegnato (corsi di italiano legale, di italiano per il commercio, e via discorrendo), una riflessione sociolinguistica sulla natura dell’italiano che si ascolta in classe (portato da noi insegnanti o appreso dagli studenti chissà dove, chissà quando, chissà come) è quanto mai auspicabile. Ci consente da un lato di controllare il nostro input in maniera consapevole e coerente, dall’altro di veicolare l’output della classe attraverso un binario ragionato, attento e non casuale.

E questa riflessione sociolinguistica non può non partire dal concetto di variazione linguistica, tema questo che deve essere familiare a chiunque entri in classe e pretenda di insegnare l’italiano, a qualsiasi livello, in qualsiasi contesto. La variazione linguistica è uno spazio in continua evoluzione, che muta così come mutano le lingue, vive e fluttuanti nel tempo, che cambia nelle sue infinite concretizzazioni. I confini del nostro spazio variabile? Presto detti! Hanno nomi complicati, ma sono facilmente individuabili:

-variaibili diacroniche: la lingua cambia col tempo. Se ho una buona consapevolezza linguistica, posso riconoscere, con una minima approssimazione, se il testo che sto leggendo è stato scritto oggi, cento anni fa, quattrocento anni fa.

-variabili diatopiche: a Trieste e a Caserta si parla in maniera diversa. Senza addentrarci nel meraviglioso mondo dei dialetti, restando nel campo dell’italiano, non si può notare come esistano delle diversità nelle produzioni orali dei parlanti di ogni parte d’Italia. Queste diversità, appunto le variabili diatopiche, fanno sì che (oggi, ottant’anni fa non era così) ci si riesca a comprendere senza sforzo in tutta la Penisola. Fanno anche sì che il nostro parlato sia connotato localmente: a meno che non siamo attori o telegiornalisti, a meno che non decidiamo di omettere questa informazione su di noi, la nostra produzione orale racconta qualcosa di noi stessi, soprattutto racconta da dove veniamo.

-variabili diamesiche: la lingua parlata è diversa da quella scritta. A prescindere dal livello di formalità di una produzione linguistica, questa produzione muta, e non poco, nei due principali canali di comunicazione, quello grafico-visivo e quello fonico-auditivo.

-variabili diastratiche: sono le variazioni “sociali”, ovvero che riguardano le caratteristiche del parlante. Un professore universitario di 65 anni, nato e cresciuto in città, usa un italiano diverso rispetto a quello di un giovanotto che non ha ancora finito gli studi.

-variabili diafasiche: le situazioni fanno la differenza. Al cameriere del ristorante più elegante, formale e rinomato della mia città mi rivolgo diversamente di come normalmente io non faccia col barista che tutte le mattine mi prepara il miglior caffè del mondo.

Si badi: il breve riassunto qui proposto è solo un accenno, e ritengo sia molto meno dell’ABC fondamentale per chi si voglia vagamente interrogare sul tema: questi argomenti hanno riempito pagine e pagine di riflessione sociolinguistica. Considero necessario per chiunque voglia insegnare italiano con consapevolezza e cognizione di causa avere una certa dimestichezza almeno con Coseriu (1973), Berruto (1987 e 1993), Sobrero (1993). Per ragioni diverse, ma altrettanto valide, ritengo essenziale la lettura della Lettera a una professoressa, manifesto della scuola di Barbiana, edita per i tipi della LEF.

Dicevamo: la lingua è uno spazio con confini labili e mutevoli, uno spazio enorme, sconfinato, che è quasi del tutto impossibile conoscere nei suoi angoli più distanti. Insegnarla, in contesti L2 o LS, altro non è che fornire ai nostri studenti una mappa sempre più utile, sempre più versatile, affinché essi sappiano muoversi con autonomia ed efficacia all’interno di questo spazio fluttuante, senza perdersi, senza rimanere spaesati, sia nelle fasi di ricezione, sia nelle fasi di produzione.

Non possiamo aspettarci che uno studente B1 legga le Stanze di Poliziano e ne apprezzi l’arte, né che egli sappia scrivere un messaggio da inviare al Presidente della Repubblica o che possa cogliere le differenze tra l’italiano parlato da un napoletano da quello di un casertano. Possiamo però far sì che abbia un’autonomia tale da provare a riflettere per conto suo sulle variazioni dell’italiano contemporaneo. Le variazioni diatopiche sono, da questo punto di vista, facilmente apprezzabili: la stessa frase ripetuta da un telegiornalista del TG1 e dall’insegnante suonerà in maniera diversa, e se abbiamo fatto l’auspicabile lavoro sulla fonetica che tante volte ci capita di tralasciare, non sarà difficile far apprezzare questa diversità alla nostra classe. A tal proposito, si suggerisce De Mauro (1980): le sue riflessioni, anche se non mirate precisamente alla didattica, sono felicemente applicabili al nostro ambito.

Insomma: insegnare italiano non vuol dire solo riempire i nostri studenti di vocabolario, di forme verbali, di grammatica. Vuol dire dare loro una bussola e una mappa per districarsi nell’ampio spazio linguistico che, come abbiamo visto, loro scelgono di esplorare, tenendo bene a mente che questo spazio è fatto anche di espressioni informali, di enunciati che hanno un senso a Milano e un altro a Roma, di frasi che si scrivono ma non si dicono e si dicono ma non si scrivono. Di un’enormità di variazioni che loro, esploratori incerti, dovranno scoprire grazie alla nostra guida consapevole.

Berruto, Gaetano (1987), Sociolinguistica dell’italiano contemporaneo, Roma, La Nuova Italia Scientifica (14a rist. Roma, Carocci, 2006).

Berruto, Gaetano (1993), Varietà diamesiche, diastratiche, diafasiche, in Introduzione all’italiano contemporaneo. La variazione e gli usi, a cura di A.A. Sobrero, Roma – Bari, Laterza, pp. 37-92.

Coseriu, Eugenio (1973), Lezioni di linguistica generale, Torino, Boringhieri.

De Mauro, Tullio (1980), Guida all’uso delle parole, Roma, Editori Riuniti

Sobrero, Alberto A. (1993), Introduzione all’italiano contemporaneo, Roma – Bari, Laterza, 2 voll., vol. 2º (La variazione e gli usi).

Archiviato in:articoli

Insegnare su Skype: pro e contro

Aprile 25, 2016 by itxstra

di Chiara Pegoraro

Diciamocelo, sarà per la formazione in gran parte umanistica, o per un’idea romantica di insegnamento che ci ha portato a scegliere questo lavoro (O capitano! Mio capitano!), ma la maggior parte degli insegnanti preferisce di gran lunga lavorare in presenza piuttosto che online.

Ma insegnare su Skype ha indubbiamente anche lati positivi, proviamo a vederli insieme.

1. La tecnologia

CONTRO: Come dicevo prima, la nostra non è esattamente una categoria affezionata ai gadget di ultima generazione. E oggettivamente, ci sono poche cose più seccanti di una connessione lenta, una pagina che non si carica e delle misteriose piccole cose che possono non funzionare con la tecnologia.

PRO: Niente dilemmi del “cosa mi metto al lavoro oggi” (o almeno, sono limitati al pezzo sopra, tanto ormai, siete solo un mezzobusto). Niente trasferte intercontinentali per fare un’ora di lezione in una scuola e l’altra dall’altra parte della città. La tecnologia ci dà una flessibilità assolutamente nuova. E forse è ora che anche noi romantici abbandoniamo lavagna e gessetto.

2. La solitudine

CONTRO: Insegnare è già un mestiere solitario. Non è il tipo di lavoro che si fa spalla a spalla con dei colleghi e fare lezioni private da casa toglie definitivamente ogni possibilità di interazione professionale.

PRO: Si parla comunque di lezioni private nella stragrande maggioranza dei casi, dovendo stare comunque da soli con lo studente, almeno in questo modo potrete raggiungere lo studente senza che si debba spostare. Questo è un bel vantaggio e aumenta a dismisura le persone che potete raggiungere.

3. Un nuovo metodo

CONTRO: Per tutti noi abituati a fare fotocopie all’ultimo momento o a dire “andate a pagina…” , questo tipo di lezione richiederà una preparazione completamente diversa. Bisognerà creare documenti elettronici su cui lavorare e immagazzinare una serie di materiali da tirare fuori dal cappello in caso di bisogno.

PRO: Come al solito è solo questione di prendere il ritmo. Dopo un po’ di esperienza sappiamo benissimo quali materiali sono adatti a quali studenti, quali sono i problemi più comuni che possono avere. È lo steso per l’insegnamento online, una volta costruito il nostro repertorio di materiali e conoscenze, tutto diventa più semplice e ogni studente beneficerà dell’esperienza che avete guadagnato con i suoi predecessori.

E voi? Avete già insegnato online, quali sono i pro e i contro nella vostra esperienza?

Archiviato in:articoli

5 siti che ogni insegnante dovrebbe conoscere

Aprile 24, 2016 by itxstra

di Chiara Pegoraro

Ecco una selezione di siti utili per insegnare. Non si tratta di siti di contenuti didattici ma piuttosto di strumenti che potete usare per rendere più interessante il vostro lavoro. Sia che siate così fortunati da avere a disposizione un laboratorio informatico, o che facciate lezione online, questi siti vi svolteranno le lezioni. Inoltre saranno utili anche all’insegnante analogico per la creazione di materiali e per i compiti a casa.

1. wordle.net5siti1
Cominciamo dal più semplice. Wordle consente di creare degli insiemi di parole con una grafica molto accattivante. Potete usarlo per introdurre il tema della lezione, o come esercizio “trova l’intruso” o per dare una serie di elementi da usare in un’attività di scrittura. È e non richiede nessun tipo di registrazione. Quando avete finito, potete scaricare la vostra opera. Unica pecca, le istruzioni sono in inglese, ma sono veramente semplici.

2. puzzlemaker.com5siti2
Consente di creare cruciverba, crucipuzzle e altri esercizi di enigmistica. Non bisogna essere utenti registrati per poterlo usare. Purtroppo non consente di scaricare, ma potete stampare o fare uno screenshot al vostro lavoro. Le istruzioni sono in inglese e anche in questo caso sono molto semplici.

3. subtitle-horse.com5siti3
Questo inizia a essere un po’ più complicato da usare e bisogna prendere la mano con i comandi di questo sito che purtroppo, sono in inglese. Copiate e incollate la URL di un video di Youtube e seguite i comandi per aggiungere i sottotitoli. Non è semplicissimo scaricare i video che create, ma la soluzione più pratica è forse quella di creare un link che permette di ammirare la vostra opera (o quella dei vostri studenti) online. Si presta a moltissimi usi: gli studenti possono scrivere semplicemente i sottotitoli o notare elementi di una scena per lavorare sul lessico (per esempio scrivere i nomi di cibi o vestiti), possono scrivere un dialogo alternativo o volgere quello esistente al passato o farlo diventare formale. Si presta ad attività abbastanza lunghe perciò assicuratevi di avere abbastanza tempo per usarlo.

4. pixton.com5siti4
Permette di creare fumetti con tanto di istruzioni in italiano. Anche questo sito merita di ricevere un po’ di tempo dedicato alla creazione del materiale: scegliere le varie scene, i personaggi e come farli muovere può portare via abbastanza tempo. Per usarlo bisogna essere utenti registrati e purtroppo per scaricare i contenuti dovete avere la versione pro. Si possono però condividere i fumetti creati con altri utenti Pixton oppure potete fare un bello screenshot dello schermo e passa la paura.

5. lyricstraining.com5siti5

Questo sito è una vera chicca, il sogno di ogni insegnante. Per usarlo potete essere utenti registrati, ma non necessariamente, e le istruzioni sono in inglese, ma sono così marginali e i contenuti in italiano così tanti, che non è poi così importante. In contemporanea al video musicale scorre il testo della canzone che lo studente deve scrivere man mano. Se lo studente non scrive o sbaglia, il programma ripete solo l’ultima riga di testo, automaticamente. Si possono scegliere quattro livelli di difficoltà e il sistema tiene conto di quanti errori e quanti ascolti vengono fatti e assegna un punteggio, ottimo per le sfide. Questo sito ha un solo problema: crea dipendenza, state attenti!

Archiviato in:articoli

Come insegnare l’italiano L2 ai russofoni principianti?

Aprile 9, 2016 by itxstra

di Maria Chiara Barsanti

Le scelte da prendere per l’insegnamento dell’italiano come lingua straniera non possono prescindere dalla nazionalità degli studenti a cui ci si rivolge. Ogni lingua ha le sue peculiarità lessicali e sintattiche e le difficoltà incontrate da un inglese sono ovviamente molto diverse da quelle incontrate da un cinese. Non solo, il background culturale di una persona ne influenza le modalità di apprendimento. La mia esperienza è maturata su un pubblico russofono ed ecco cosa ho imparato:

  • i russi sono assai precisi, non amano l’approssimazione, si impegnano molto e pretendono altrettanto
  • la lingua russa è molto ricca dal punto di vista lessicale, per esprimere un concetto c’è una e una sola parola
  • chi si avvicina allo studio della lingua italiana spesso ne conosce già qualche vocabolo ed alcune espressioni idiomatiche

Ora passiamo alla parte pratica e partiamo dalle regole di fonetica. L’alfabeto russo ha tante lettere quanti sono i suoni per cui sarà necessario insistere molto sulle diverse possibilità di pronuncia di una stessa lettera, ad esempio c ( k ) di casa e c ( tʃ ) di cielo, e sui gruppi consonantici, tenendo presente che loro non hanno i suoni gn ( ɲ ) e gl ( ʎ ) e per loro sc ( ʃ ) e sci sono proprio due lettere diverse.

Passando all’aspetto grammaticale, riscontrerete fin da subito una notevole difficoltà di inserimento nonché di scelta dell’articolo determinativo da inserire: sappiate che si protrarrà a lungo poiché per loro è una novità assoluta. Con gli articoli indeterminativi andrà un po’ meglio, con quelli partitivi di nuovo un disastro: qui vi consiglio di fare un paragone con la lingua inglese che molti di loro conosceranno già.

Un costrutto molto diffuso nella lingua italiana e completamente assente in quella russa è “c’è / ci sono”: i vostri studenti tenderanno ad usare solo il verbo essere (esempio: sul tavolo sono piatti). Viceversa nei sintagmi minimi come “io sono” metteranno solo il pronome (esempio: io studentessa).

Per esprimere possesso hanno un costrutto speciale che sostituisce il verbo avere e viene utilizzato anche per esprimere l’età. Il problema sorge quando bisogna utilizzare tale verbo per altri scopi: la soluzione è solo tanto esercizio.

Per finire, un aspetto legato prettamente alla conversazione: in russo la forma di cortesia si esprime con la seconda persona plurale quindi all’inizio li vedrete spaesati perché non capiranno chi è questa Lei di cui parlate. Ma non disperate!

Archiviato in:articoli

  • « Pagina precedente
  • 1
  • …
  • 7
  • 8
  • 9
  • 10
  • Pagina successiva »

Altri siti utili

logo of onlineitalianclub.com

logo of

logo of

logo: nonparloitaliano.com

Conttataci

Questo sito è gestito da Imparareonline Ltd.

Registered in England, no. 8569282

Tregarth, The Gounce,
Perranporth, Cornwall, TR6 0JW

info@imparareonline.co.uk

 

 

 

All Rights Reserved · © Copyright 2015 · Imparareonline Ltd. Registered in England, no.8569282 Tregarth, The Gounce, Perranporth, Cornwall, England TR6 0JW · info@imparareonline.co.uk