Questa mattina un mio studente inglese era molto felice. Durante la nostra sessione settimanale di conversazione in italiano, mi ha infatti raccontato di un incontro con un uomo italiano in un ristorante in Inghilterra. Per farla breve, il mio studente ha avuto modo di parlare italiano con l’uomo in una situazione quotidiana e inaspettata, rispetto all’ambiente protetto in cui si collocano normalmente le nostre interazioni.
La vera gioia, a dire il vero, era tutta mia. Quell’incontro ha visibilmente giovato al mio studente su più livelli: su quello della fiducia prima di tutto, ma anche su quello dell’adattabilità.
Il mio studente si è sentito gratificato per essere stato in grado di comprendere e rispondere in modo accurato a uno sconosciuto italiano, fuori dalla sua zona di comfort. Ma quello che il mio studente in realtà ha fatto, ha un valore ancora più profondo dal punto di vista linguistico: si è adattato.
In parole povere, l’adattabilità linguistica riguarda non solo la padronanza della lingua da un punto di vista strettamente linguistico, quanto la comprensione della situazione in cui l’atto comunicativo è inserito: qual è il ruolo dei parlanti, qual è il contesto, qual è lo scopo, qual è il repertorio linguistico del gruppo di riferimento, quali sono le regole della comunità ecc.
Si può insegnare ad adattarsi alla lingua italiana?
Io credo di sì. Credo che la consapevolezza sia la base di qualsiasi progresso e che un buon insegnante non sia quello che mette nella testa dello studente delle nozioni come se dovesse riempire una scatola, ma piuttosto fornisce allo studente gli strumenti per acquisire la conoscenza in modo autonomo.
Prendiamo il racconto del mio studente. Come potrebbe essere utilizzato a scopi didattici?
Ecco alcune domande che gli ho fatto:
- L’uomo parlava velocemente o lentamente?
- Di cosa avete parlato? Quale lessico avete incontrato?
- Da quale parte dell’Italia veniva l’uomo?
- Che età aveva l’uomo?
- Come definiresti il contesto in cui avete interagito? Formale o informale?
L’adattabilità alle variazioni della lingua italiana
Le risposte alle precedenti domande permettono di rendere lo studente più consapevole rispetto alle possibili variazioni della lingua italiana.
La lingua italiana presenta un gran numero di variazioni che richiedono una certa adattabilità linguistica tanto da parte di stranieri, quanto di madrelingua.
Secondo la sociolinguistica, tali variazioni possono essere classificate in base a cinque dimensioni: diacronica, diatopica, diafasica, diastratica e diamesica.
La dimensione diacronica riguarda il tempo. La lingua infatti è mutevole: cambia nel tempo anche rispetto a un passato vicino. I neologismi vengono introdotti nell’italiano quotidianamente e il modo migliore per acquisirli, qualora non si vivesse in Italia, è leggere i giornali ogni giorno. Ma non solo neologismi! Pensa a parole come “tampone” o “assembramento”: il loro uso durante la pandemia è aumentato incredibilmente, tanto da essere paragonabile a quello di parole quotidiane come “casa” o “spesa”.
La dimensione diatopica concerne lo spazio, ovvero l’origine spaziale, la distribuzione geografica e l’area di appartenenza dei parlanti. Rientrano qui non solo i dialetti, ma anche tutti quegli italiani regionali che rendono la nostra lingua così variegata. Uno straniero che sa dire “cornetto” a un barista napoletano e “brioche” a un barista milanese per ottenere la stessa colazione, ha sicuramente una marcia in più!
La dimensione diafasica si riferisce allo stile e al registro linguistico. Questo significa riconoscere che in base ai ruoli degli interlocutori è meglio scegliere una formula rispetto a un’altra. Per permettere ai nostri studenti di raggiungere questa sensibilità linguistica, non dobbiamo fare altro che metterli di fronte a diverse situazioni in cui farli riflettere sullo stile comunicativo nel complesso, al di là di un mero arricchimento lessicale.
La dimensione diastratica riguarda il piano sociale. Questa è la dimensione che più mi piace affrontare come insegnante, perché spesso i miei studenti si fossilizzano sulla “correttezza” della lingua, senza tenere conto dell’esistenza di migliaia di micro lingue (e non sto parlando dei dialetti). Parlo piuttosto della lingua dei giovani, di quella degli anziani, di quella degli abitanti di un quartiere popolare, piuttosto che di chi vive in quartieri residenziali. Si tratta del “gergo”, la cui funzione più interessante a mio parere è l’intento criptico, cioè la volontà di non farsi comprendere dagli esterni al gruppo.
Infine, la dimensione diamesica fa riferimento al mezzo di comunicazione. Storicamente si era soliti ragionare in termini dicotomici, laddove da una parte c’era la lingua scritta e quindi formale, dall’altra quella parlata e quindi informale. Oggi si preferisce immaginare un continuum lungo il quale si collocano una serie di comunicazioni, più o meno lunghe, che avvengono tramite una serie di strumenti talvolta a metà tra scritto e orale, tra formale e informale: pensiamo alla chat di WhatsApp (e ai messaggi vocali) tra colleghi o a un post-it lasciato sul frigorifero con scritto sopra la lista della spesa: una bellissima mescolanza di scritto e orale, formale e informale.
Prima di insegnare ai nostri studenti come adattarsi alla lingua italiana, dobbiamo avere ben chiaro quali sono le variazioni della lingua e imparare, prima di tutto, a trasmettere questa ricchezza.
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