Nel 1991, per i tipi di Mondadori, è stata pubblicata una raccolta di saggi di Italo Calvino dal titolo Perché leggere i classici. Il libro riporta una serie di interventi attraverso i quali, nel corso degli anni, Calvino spiegava l’utilità della lettura di alcuni testi chiave del nostro canone: dall’Odissea a Crusoe, da Hemingway a Flaubert, veniva tessuta una rete di letture chiave utile per poter apprezzare i classici della nostra tradizione (e non solo). Con questo intervento vogliamo (con il rispetto e la sudditanza nei confronti di uno dei più grandi intellettuali del nostro tempo) provare a fare lo stesso, a ipotizzare un Perché leggere i classici della glottodidattica, dell’insegnamento dell’italiano a stranieri, della linguistica, della sociolinguistica… Manuali, romanzi, saggi: ci sono molti testi essenziali che ogni insegnante dovrebbe conoscere per il suo sviluppo professionale e, perché no, umano. Queste schede di lettura vogliono proprio suggerire una bibliografia minima per chi si affaccia per la prima volta al mondo dell’insegnamento.
Lettera a una professoressa
Scuola di Barbiana
Libreria Editrice Fiorentina, 1967
“Cara signora, lei di me non ricorderà nemmeno il nome. Ne ha bocciati tanti”.
Inizia così, con un j’accuse nemmeno troppo velato, uno dei manifesti dell’educazione linguistica italiana, un testo fondamentale per chiunque si sia mai interessato di alfabetizzazione, di democrazia linguistica e di politiche scolastiche inclusive.
Sono passati quasi cinquant’anni da quando i ragazzi della scuola di Barbiana, un’esperienza educativa fondata sulle colline del Mugello da don Lorenzo Milani, pubblicarono le Lettera. Cinquant’anni nei quali la scuola italiana è cambiata molto, ma che ancora sembra dover risolvere dei nodi evidenziati da quegli otto ragazzi e dal priore che li guidava.
Per comprendere la Lettera è fondamentale capire il contesto nel quale questo documento è nato. Barbiana è una frazione di Vicchio, siamo nelle colline sopra Firenze, in zone che negli anni ’50 soffrivano una grande arretratezza economica e culturale. L’analfabetismo dominava tra i giovani e l’abbandono scolastico era altissimo. I figli dei contadini della zona non avevano altra prospettiva che ricalcare le orme dei padri e dedicarsi al lavoro nei campi sin da bambini. In questi luoghi, don Lorenzo Milani, giovane sacerdote fiorentino esiliato a Barbiana da una curia che lo considerava troppo scomodo, fonda una piccola scuola destinata proprio a questi ragazzi condannati all’analfabetismo.
Nella scuola di Barbiana i figli dei contadini imparano a leggere, scrivere, fare di conto e prepararsi per gli esami della scuola pubblica; di quella scuola, insomma, che invece di abbracciarli e accoglierli, li respinge senza possibilità d’appello.
Lettera a una professoressa racconta proprio questa avventura: un po’ manifesto, un po’ diario di viaggio, un po’ atto d’accusa, è una lunga lettera rivolta a una professoressa che “ne ha bocciati tanti”, una di quelle che i ragazzi della campagna li allontanava dalla scuola senza effettivamente farsi domande, senza interrogarsi sui loro bisogni, sulle loro necessità e sui doveri della scuola pubblica italiana.
Partendo dalle loro esperienze, dalle loro storie e dai vissuti di esclusione subiti da parte della scuola pubblica, i ragazzi di Barbiana analizzano dati e documenti per arrivare a quantificare le responsabilità della scuola italiana nei confronti degli ultimi. L’istituzione scolastica è giudicata severamente: “un ospedale che cura i sani e respinge i malati”.
La Lettera sostanzialmente è questo: un messaggio di accusa nei confronti di chi dovrebbe abbracciare tutti, invece esclude molti; un dito puntato contro un sistema pensato a misura di ricchi, di figli di papà, creato per quegli studenti che già sanno leggere e scrivere e che frequentano la scuola come avevano fatto i loro genitori, come è comune nel contesto che li circonda; uno spunto di riflessione dal quale partire per un futuro educativo e scolastico più inclusivo e democratico.
Spunto che non è rimasto del tutto inascoltato: sicuramente il nostro sistema scolastico oggi presenta ancora delle falle, ma sembra ingiusto sostenere che la lezione di don Milani e dei ragazzi di Barbiana abbia trovato un muro nelle generazioni politiche dei decenni a venire. Anzi: di una certa sinistra don Milani è stato per molti anni (forse lo è tuttora) uno dei simboli, citato, spesso a sproposito, ogni qual volta si parli di educazione, di democrazia scolastica, di alfabetizzazione e di abbandono.
L’utilità per un insegnante
Perché un docente di italiano L2/LS dovrebbe essere interessato a tematiche legate all’inclusione, alla democrazia scolastica e all’analfabetismo? Perché la Lettera a una professoressa è da considerarsi un testo chiave anche lavorando in contesti diversi da quelli raccontati dai ragazzi di Barbiana?
In primis perché, e le nuove politiche ministeriali ce lo stanno dimostrando, l’italiano per stranieri sta entrando di diritto come disciplina a sé stante nel panorama dell’offerta della scuola pubblica italiana. L’istituzione della classe di concorso A23, croce e delizia di tanti colleghi che, tra concorsi e ricorsi, sperano di entrare sotto l’ala del MIUR, è dimostrazione chiara (se mai ce ne fosse bisogno) della necessità, anche nella scuola pubblica italiana, delle nostre professionalità: figure formate ed esperte in un settore in forte crescita, che rispecchia, con i suoi cambiamenti rapidi, l’evoluzione di una società sempre più multietnica. La riflessione sull’alfabetizzazione, dunque, si sposta: non riguarda più (o riguarda in minima parte, per fortuna) i ragazzi italiani esclusivamente dialettofoni, ma si sposta sui nuovi italiani, su bambine e bambini per i quali la lingua madre è il cinese, il romeno, l’arabo o il tigrino. E come si sposta l’obiettivo di una nuova alfabetizzazione, così cambiano i rischi di processi che escludono anziché includere, che tagliano fuori quegli studenti che non hanno le competenze linguistiche necessarie per la sopravvivenza all’interno del sistema scolastico italiano. Ed ecco che don Milani e i suoi ragazzi, a distanza di mezzo secolo, hanno ancora molto da dirci.
L’utilità per le classi
C’è un altro aspetto della Lettera molto interessante, ed è quello dell’utilizzo del testo nelle classi di italiano L2/LS. Degli estratti di testo si prestano molto bene già in livelli non alti, sia per la struttura testuale, semplice e facilmente apprezzabile, sia per le tematiche affrontate, molto concrete e di facile comprensione. Né è da sottovoalutare l’aspetto stilistico: la Lettera è, come dichiarato dagli autori stessi, un testo scritto a più mani, nel quale vengono raccontati gli aspetti più interessanti delle scritture collettive: per quelle classi che lavorano su progetti di scrittura creativa, le indicazioni riportate dai ragazzi di Barbiana sono degli spunti di lavoro molto utili, e la Lettera è un ottimo punto di partenza per capire come tante menti, tante mani, se ben guidate, possono produrre un testo organico, coerente e coeso.