Come senz’altro fanno molti di voi, anch’io collaboro con più di una scuola nel ruolo di insegnante di italiano a stranieri.
Una di queste è un’azienda spagnola che si occupa di formazione linguistica alle aziende, pertanto la maggior parte dei collaboratori sono spagnoli. Tra questi, c’è Álvaro, un gentile insegnante di spagnolo che si è occupato del mio OnBoarding, in particolare mi ha insegnato a utilizzare la piattaforma online “Moodle” (io non la conoscevo prima… E tu l’hai mai usata?)
Ora, io e Álvaro avremmo potuto comunicare in inglese, scegliendola come lingua veicolare, ma gli ho proposto di parlare in spagnolo, dal momento che me la cavo abbastanza bene (ho vissuto circa un anno in Spagna, lavorando per due distinte aziende e ho quindi acquisito una discreta padronanza dello spagnolo in ambito lavorativo).
Ok, dicevo. Io e Álvaro abbiamo iniziato a comunicare in spagnolo con lo scopo di risolvere un problema, ovvero di permettere a me di diventare autonoma nella gestione di un lavoro. Questo scambio non aveva la finalità di insegnare a me lo spagnolo, né di migliorarlo, ma semplicemente di raggiungere un obiettivo terzo.
Lo so che ho ribadito più volte quanto sia importante per i nostri studenti apprendere la lingua attraverso l’esecuzione di un’attività diversa dalla lingua stessa (si chiama metodologia CLIL, la conosci?) ma devo dirti che quello che mi è successo mi ha fatto riflettere. Dopo avermi fatto decisamente innervosire.
É successo che Álvaro si è spontaneamente proposto di regalarmi una lezione di spagnolo gratuita, anzi due o tre. Sì, perché mentre parlavo e dopo avergli scritto un messaggio, si preoccupava tempestivamente di correggermi. Accenti, tempi verbali, modi di esprimermi… ad Álvaro non sfuggiva proprio niente.
Io gli rispondevo “Grazie, molto utile!” (in spagnolo, ma lo scrivo in italiano perché ora ho paura di sbagliare) e lui rincarava la dose. Alla fine mi sono ritrovata con almeno cinque liste di annotazioni e il ricordo di un momento di formazione pieno di interruzioni e digressioni.
Ora, so di essere una persona un po’ permalosa, ma sono anche consapevole di avere delle carenze in spagnolo. Non è la mia lingua madre, la padroneggio a un livello che si aggira intorno al B2. Però, invece dell’inglese, ho scelto di parlare con Álvaro in spagnolo, perché pensavo di facilitarlo. Era il mio modo per essere gentile con lui.
Cosa ho imparato da tutta questa storia? Perché te la sto raccontando?
Perché mi ha fatto pensare a tutte le volte in cui è necessario o meno correggere gli studenti di italiano e sarei molto curiosa di sapere come gestisci questo aspetto dell’insegnamento dell’italiano.
Di solito, tendo a non correggerli mentre stanno parlando e si stanno sforzando di esprimere un concetto o di raccontarmi qualcosa. Lo reputo piuttosto fastidioso e demotivante. Piuttosto, cerco di appuntarmi i loro “errori” e glieli ripropongo verso la fine della sessione, spronandoli a ragionarci su insieme.
Devo confessarti che questo metodo non è sempre applicabile. Ci sono delle volte in cui la reiterazione dell’errore diventa rischiosa e quindi intervengo prontamente, interrompendoli. Per intenderci, ecco alcuni esempi di imprecisioni molto frequenti tra gli studenti anglofoni: il “governamento” (invece di “governo”), “recemente” (invece di “recentemente”), “io sono inglesa” o “io sono irlandesa” (invece di “inglese” e “irlandese”).
Insomma, personalmente continuo a pensare che la lingua sia uno strumento comunicativo, un modo per raggiungere uno scopo. Certo, si può ragionare in termini “metalinguistici” (quando, cioè, parliamo della lingua stessa), ma anche in quest’ultimo caso non bisognerebbe dimenticarsi che la lingua non è il fine, ma il mezzo.
Correggimi se sbaglio.
Elena dice
Ciao, da anni vivo all’estero e insegno italiano come L2. Sono perfattamente d’accorso sul fatto che la lingua serve per comunicare.
Grazie per la condivisione
barbara dice
Grazie a te Elena, la tua testimonianza è preziosa. Si vede che sai cosa vuol dire 🙂
Francesca dice
Quanto mi è piaciuto il tuo post! Mi ha subito messo voglia di scriverti in spagnolo 😉 …
La correzione è una faccenda tremendamente seria nel nostro mestiere: la verità è che anche qui dobbiamo essere un po’ psicologi ancor prima che insegnanti e individuare il tipo di apprendente che abbiamo davanti. C’è il perfezionista che si aspetta di essere corretto tempestivamente (qualcuno è così malefico che mi dà l’impressione di sbagliare di proposito per verificare che io sia attenta…), c’è il timido che invece si blocca e non puoi certo permetterti di interrompere il momento di grazia. Alcuni stratagemmi funzionano bene: anch’io tendenzialmente taccio, prendo appunti, e mi segno gli errori ricorrenti per integrarli per esempio in successivi esercizi tipo “trova l’errore” o per compilare una lista nera che ripropongo allo studente incriminato dopo un po’ di tempo. E poi nei gruppi mi trovo bene con la peer correction, ma solo se nel gruppo c’è un’atmosfera collaborativa e un clima rilassato. Ed ecco che torniamo al punto di partenza: psicologi dobbiamo essere, querido Álvaro!
barbara dice
Ahahah ma quanto hai ragione Francesca?! Grazie per il tuo commento, ne faccio tesoro.
Cristina dice
Ciao Barbara, sono d’accordo con te: penso che interrompere continuamente lo studente per correggerlo non sia la strategia giusta. Mi sono capitati alcuni insegnanti che avevano questo metodo ma non mi è piaciuto, preferisco molto di più quelli che lasciano parlare e correggono dopo.
barbara dice
Grazie per il tuo commento Cristina, inutile dire che sono più che d’accordo e molto felice di leggere le tue parole.