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Insegnare italiano durante le vacanze, si o no?

Giugno 22, 2022 by barbara

Quando si pensa di insegnare italiano durante le vacanze estive, bisogna tenere conto di tanti aspetti. Primo tra tutti, un pubblico di studenti molto diversificato. Considerare la loro provenienza è fondamentale e questo vale sia per gli insegnanti che lavorano in una scuola che ha sede in Italia, sia per chi lavora online.

Gli studenti che (non) vanno in vacanza

Tendenzialmente, gli studenti che vivono in Europa considerano il periodo estivo come un momento di pausa dalle attività quotidiane: sono quelli che, insomma, possono fare le vacanze estive proprio come le intendiamo noi italiani.

E qui occorre già fare una distinzione. Possono essere, infatti, studenti che scelgono di iscriversi a un corso di lingua proprio durante le vacanze estive (magari scegliendo di fare una vacanza-studio proprio in Italia, in una delle numerose scuole per stranieri come la Madrelingua di Bologna); oppure studenti che – dato che vanno in vacanza – decidono di interrompere alcuni corsi in essere (soprattutto quelli online).

Infine, vi sono gli studenti che vivono ad esempio nell’altro emisfero terrestre, per i quali l’estate corrisponde a una stagione fredda, in cui si esce più raramente di casa e quindi si potrebbe essere più propensi a investire in formazione a distanza.

Gli argomenti per un Italian Summer Course

Inutile ribadire che, per organizzare corsi estivi di italiano per stranieri, sia fondamentale tenere conto di tutti gli aspetti appena snocciolati.

Prima di tutto, quindi, bisogna avere ben chiaro nella testa il target di studenti a cui si sceglie di indirizzarsi. Una buona idea potrebbe essere quella di organizzare diverse versioni di corsi estivi, pensati su misura di un certo pubblico.

Facciamo un esempio, prendendo in analisi il caso in cui si scelga di organizzare un corso estivo di italiano per studenti che vengono in vacanza in Italia. In questo caso, i temi del corso potrebbero riguardare luoghi italiani da visitare (magari non troppo lontani dalla sede del corso), abitudini estive degli italiani, vari ed eventuali aspetti culturali legati all’estate. Niente di troppo pesante, insomma… Questi studenti sono venuti certamente per imparare, ma anche per divertirsi un po’.

Allo stesso modo, un corso online estivo di italiano rivolto a stranieri potrebbe essere costruito per preparare gli studenti a una eventuale vacanza in estate. Le situazioni da “coprire” potrebbero quindi riguardare i mezzi pubblici, cosa trovare in città, come ordinare al ristorante, come comunicare con la receptionist dell’hotel e così via.

Infine, un corso online per – ad esempio – australiani interessati alla lingua italiana, potrebbe vertere su argomenti che ben si prestano ad approfondimenti casalinghi: un corso sul cinema italiano, sulla letteratura, sulla storia o sulla musica, magari.

Come organizzare corsi estivi di italiano per stranieri

Infine, la variabile tempo. Sì, perché trovare il giusto compromesso tra durata del corso e periodo in cui viene organizzato non è sempre facile.

Per i corsi in sede, è consigliabile pensare a un programma part-time, di modo che gli studenti possano sì andare a scuola, ma abbiano anche del tempo libero per esplorare la città e i dintorni.

Per i corsi online preparatori a un viaggio in Italia, si potrebbe pensare a qualcosa di più intensivo, a cadenza giornaliera o bisettimanale. Come sempre, quando si parla di online, è bene tenere conto del fuso orario di ciascun partecipante (solitamente il pomeriggio o la sera italiane sono i momenti migliori).

Al contempo, gli insegnanti che scelgono di rivolgersi agli studenti che risiedono nell’altro emisfero potrebbero essere costretti a delle levatacce mattutine oppure a fare le ore piccole alla sera. Cosa non si fa per i nostri studenti!

E tu? Quest’estate insegnerai in un corso estivo di italiano per stranieri? Raccontaci la tua esperienza in un commento, se ti va 🙂

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Hai mai gestito altri insegnanti?

Maggio 26, 2022 by barbara

Cari insegnanti di italiano per stranieri,

Come state oggi?

Le ultime due volte (questa e questa) in cui vi ho scritto, avete lasciato dei commenti così interessanti che ho deciso di provare a scrivervi più spesso. I vostri feedback mi aiutano moltissimo e spero valga lo stesso per gli altri lettori.

Tra di voi, spesso scovo professori universitari o persone che fanno il nostro lavoro da moltissimi anni (sicuramente più di me).

Quindi ho pensato, oggi, di sottoporvi una domanda a cui forse molti di voi potrebbero rispondere positivamente: Vi è mai capitato di gestire altri insegnanti?

Competenze didattiche e organizzative

A me sì, da un anno a questa parte. E non c’è lavoro per cui provi sentimenti più contrastanti!

All’inizio, ero davvero impreparata e cercavo di sopperire alle competenze che mi mancavano (nemmeno le sapevo nominare, a dire il vero) con un tentativo di controllare la situazione. Un controllo esagerato.

In altre parole, pretendevo che ogni insegnante si comportasse come me, a lezione. “Io in questo caso faccio così e in quest’altro faccio cosà”, ripetevo continuamente. Non lasciavo loro nessuna libertà di sperimentare metodi diversi dai miei.

Piano piano, ho imparato a delegare e a fidarmi. Per fare questo, devo dire, ho dovuto prima predisporre un sistema organizzativo stabile, fatto di file condivisi e di riunioni mensili pianificate. Incoraggiavo il gruppo di insegnanti che mi ero ritrovata a gestire a scrivermi ogniqualvolta avessero un dubbio.

In questo, devo dire, creare un gruppo di WhatsApp è stato fondamentale, seppure sia stato difficile cercare di non guardarlo o di non scrivervi nel fine settimana (penso sempre che il weekend sia sacro e che ogni lavoratore abbia diritto a “staccare”, non importa quanto flessibile sia il tipo di lavoro che fa).

Vedere il modo in cui alcuni insegnanti facevano lezione, mi ha portata a esplorare strade didattiche che non avevo mai usato prima. Un esempio è la condivisione di un video durante una lezione di conversazione. Ho sempre pensato che questo tipo di materiale andasse bene per corsi tematici di gruppo, piuttosto che per lezioni individuali. E invece mi sono ricreduta: se utilizzati nelle giuste dosi, possono stimolare lo studente positivamente.

Le competenze didattiche che ciascun insegnante ha, tuttavia, sono distinte da quelle organizzative e ancora diverse da quelle gestionali. Mi sono ritrovata, con mio grande stupore, a interrompere insegnanti che iniziavano a raccontarmi nel dettaglio le loro questioni con uno studente o il loro calendario e i rispettivi impegni. Stop. Linea superata, mi dicevo. Perché chi ha il compito di gestire delle persone non può permettersi di immagazzinare informazioni non utili allo scopo. Un puzzle si fa se si guarda l’immagine dall’alto e non se si cerca di dare un senso al singolo pezzettino.

“Scrivi allo studente e organizzatevi in autonomia”, era la mia risposta, “poi mi fai sapere”.

Certo, dare fiducia alle persone è molto rischioso. Ultimamente sto avendo diversi problemi con un’insegnante inesperta, distratta, decisamente inaffidabile. L’istinto sarebbe di lasciarla fuori dal progetto, ma una parte di me vede in lei quello che io ero all’inizio: impreparata a insegnare perché non l’avevo mai fatto.

Ma da qualche parte bisogna pure iniziare, giusto?

 

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Insegnamento e malattia

Maggio 16, 2022 by barbara

È da un po’ che non scrivo, perché sono stata costretta a prendere una pausa dal lavoro. Il motivo è semplice: la salute… Che ha deciso di venire a mancare per due mesi buoni. Ora che – fortunatamente – sto meglio, ho deciso di parlare proprio di questo tema: della salute, anzi, della malattia e del suo rapporto con il lavoro di insegnante di italiano. Tu come gestisci questo – spesso – inevitabile imprevisto nel tuo lavoro? Ti racconto cosa mi è successo…

Quando il lavoro dipende da te

Facciamo un passo indietro. Ti ricordi quando ti avevo raccontato di quello strambo progetto di insegnamento in un ristorante di Londra? Ti avevo promesso che ti avrei raccontato la mia scelta finale (non mi sono dimenticata, eh). Ebbene, alla fine avevo accettato e… Non avrei potuto fare scelta migliore! Inaspettatamente, ogni cosa si è incastrata perfettamente grazie a una buona pianificazione da parte mia insieme agli organizzatori (il proprietario del ristorante, il cuoco e il caposala). Devo dire che, una buona parte del successo del progetto va riconosciuta ai partecipanti stessi: educati, motivati, costanti. Ogni lunedì sera arrivavano entusiasti pronti a scoprire qualcosa di più sul piatto di pasta che avrebbero mangiato quella sera, a fare due chiacchiere con i nuovi amici appena conosciuti, a partecipare alle mie lezioni per prepararsi al loro primo viaggio in Italia.

Come puoi immaginare, la mia persona era una parte importante della serata, nel senso che rappresentavo il 50% dell’esperienza (l’altra metà consisteva ovviamente in location + accoglienza + cibo).

Ecco che quindi capirai il mio stato d’animo quando, a tre ore dall’ultimo incontro, ho dovuto dare forfait.

Come gestire gli imprevisti prima di una lezione pianificata

Non è la prima volta che mi capita un imprevisto di questo tipo, solo che tutte le altre volte si trattava di lezioni online. In quei casi, mi sforzavo di inviare una email o un messaggio (a seconda del livello di confidenza e del tipo di contatto a disposizione) allo studente, scusandomi per lo scarso preavviso e domandando la disponibilità a ripianificare la lezione. Certe volte, semplicemente decidevamo di “saltare” quell’incontro e di rivederci la settimana successiva (con l’impegno di recuperare la lezione saltata alla fine del pacchetto di lezioni). Semplice e piuttosto indolore, anche se devo dirti che, in alcuni casi, stavo così male che ho dovuto chiedere a una persona vicina di inviare la comunicazione al mio posto, sotto dettatura.

Con gli eventi in presenza, però, la storia è diversa. In questi casi, infatti, le persone coinvolte possono essere molteplici. Figuriamoci nel caso in cui una delle parti è un ristorante che, quindi, ha dovuto provvedere agli ingredienti per cucinare la cena a un certo numero di persone.

Cosa ho fatto, quindi? Mi sentivo davvero in colpa per quello che stava succedendo, ma non potevo certo stare lì a piangermi addosso. Così, ho telefonato al proprietario avvisandolo che non avrei potuto esserci quella sera. Gli ho poi proposto una strada alternativa: mi sono occupata io stessa di inviare la comunicazione ai partecipanti, invitandoli a recarsi ugualmente al ristorante per consumare la cena, dove avrebbero potuto discutere di una data in cui recuperare la lezione online. Avrei ovviamente fatto in modo di essere libera a tutti i costi.

In conclusione, devo dire che mi sono sentita molto fortunata: le persone con cui ho collaborato si sono dimostrate molto comprensive e mi hanno compensato economicamente per l’intero progetto, come da accordi, nonostante l’imprevisto. Mi sono chiesta, però, se in altri contesti sarebbe accaduto lo stesso e se esistano dei modi per evitarlo. Forse, dovrebbero semplicemente esistere mondi in cui i diritti vengono rispettati. O forse, in parte, dipende anche da noi?

Tu cosa ne pensi? Se ti va, scrivi un commento che possa generare una discussione costruttiva 🙂

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7 errori da insegnante inesperta che non faccio più

Marzo 25, 2022 by barbara

Sono insegnante di italiano come lingua straniera da oltre tre anni e, a discolpa del fatto che possano sembrare pochi, ribatto dicendo che non faccio altro. Non è un hobby, è un lavoro a tempo pieno che sperimento giorno dopo giorno, lezione dopo lezione. Con questa lista, vorrei rivolgermi a chi forse ha appena intrapreso questo percorso o desidera cominciare a lavorare come insegnante di italiano a stranieri. Queste sono le cose che avrei voluto sentirmi raccontare tre anni fa…

1. Dimenticarmi del fuso orario

Lavorare online significa tenere in considerazione una serie di fattori che la presenza non prevede. Primo tra tutti, il fuso orario. Lo sapevi che in Europa si passa dall’ora solare a quella legale (e viceversa) in date diverse rispetto agli Stati Uniti? E ancora diversa è la situazione rispetto all’Australia, che si trova in un altro emisfero. E poi, ci sono alcuni Paesi (solo per citarne uno, la Georgia, così come tutti quelli del Continente Africano) che non adottano mai l’ora legale. Cosa significa tutto questo? Che bisogna prestare molta attenzione quando un corso a cadenza settimanale viene organizzato a cavallo degli equinozi. Per rimanere sempre aggiornata, io utilizzo uno strumento gratuito che si chiama TimeBuddy, dove posso facilmente confrontare la mia time zone con quella dei miei studenti, verificando eventuali cambiamenti tramite il calendario. Un consiglio che mi sento di dare agli insegnanti è quello di cercare di mantenere fisso l’orario dello studente, adattando il proprio di conseguenza.

2. Pensare che la responsabilità sia solo dell’insegnante

All’inizio mi struggevo e mi colpevolizzavo se vedevo che lo studente non faceva progressi. Mi sforzavo di spiegargli le cose, di dargli dei compiti, di ripetere con pazienza concetti che gli avevo già ribadito più volte. Non è sempre così, ovviamente. Alcuni studenti si mostrano collaborativi, ripassano quello che è stato fatto durante la lezione e si appassionano a contenuti italiani che trovano gratuitamente sul web. Qual è la differenza? Nel primo caso, lo studente mette tutta la responsabilità sull’insegnante, come se quest’ultimo/a avesse la bacchetta magica e fosse in grado – in un’ora a settimana nei migliori dei casi – di trasmettergli tutta la sua conoscenza. Nel secondo caso, l’insegnante è una guida. Il suo compito è rendere lo studente sempre più sicuro di sé e motivato, trovando argomenti di discussione interessanti e suggerendogli materiale di approfondimento in linea con i propri interessi (quelli dello studente). Sento spesso molte insegnanti lamentarsi del fatto che i propri studenti abbiano iniziato a seguire un tale podcast o un tale canale YouTube per imparare l’italiano. La loro critica ha origine dalla paura che questi content creators possano in qualche modo “rubargli il lavoro”. Non è così! Il ruolo dell’insegnante è importantissimo ma non è incompatibile con l’auto-apprendimento dello studente.

3. Fidarmi della percezione degli studenti

Prima di iniziare un percorso di apprendimento con uno studente, gli sottopongo alcune domande come per esempio: Perché vuoi imparare italiano? Quali sono i tuoi obiettivi? Quale pensi che sia il tuo livello attuale? Vuoi fare più conversazione o più grammatica? Le risposte a queste domande forniscono un aiuto prezioso per creare un corso di italiano che sia il più possibile soddisfacente e utile per un particolare studente. Ma attenzione, non bisogna fidarsi troppo! C’è una linea, personalissima nella testa di ciascun insegnante, che non deve essere superata. Questo confine si forma con l’esperienza, che insegna che – molto spesso – lo studente non ha proprio le idee chiarissime. È bene ascoltare le sue esigenze ma non le indicazioni su come sviluppare il modo per rispondervi. Il perché può deciderlo lo studente, ma il come, il cosa e il quando spettano all’insegnante.

4. Spiegare

I giornalisti e in generale gli scrittori, nel loro lavoro seguono un principio tanto semplice quanto illuminante: Show, don’t tell. Significa che, nel momento in cui si vuole trasmettere un messaggio, è molto più efficace mostrare un fatto, piuttosto che raccontarlo in modo prolisso e retorico. Lo stesso concetto può essere applicato all’insegnamento dell’italiano. Vuoi che lo studente impari a utilizzare la forma del lei? Lascia che se la guardi da solo, a casa, prima della lezione, e poi proponigli di simulare una conversazione tra due sconosciuti in un ambiente pubblico. Vuoi che lo studenti impari l’imperativo? Raccontagli una ricetta, mentre gli mostri l’immagine del piatto finale. Insomma, la lingua serve soprattutto per comunicare, non solo per spiegare.

5. Non lasciare traccia

Una lezione di italiano non si esaurisce solo nel tempo effettivo in cui lo studente incontra l’insegnante. Di fatto, c’è un’importantissima parte antecedente e un’altrettanto importante parte successiva. Quella antecedente è da intendersi come preparatoria, che può significare anche solo rileggere quello che è stato fatto la volta precedente. Questo è possibile solo se l’insegnante si impegna a tenere meticolosamente traccia di come si è svolta la lezione, appena questa finisce. Quando infatti si gestiscono più corsi individuali o di gruppo con più studenti, può risultare difficile stare al passo con la vita di tutti i partecipanti. Nel mio personalissimo registro (io ne uso uno online, uno strumento che si chiama Trello) mi appunto ogni dettaglio che so che potrebbe tornarmi utile. Per esempio, per creare una buona connessione con lo studente, durante il cosiddetto small talk che precede ogni lezione, mi piace fagli domande personali: “Come è andato il compleanno di tua figlia?”, “Hai trovato la lampada che cercavi?”, “Come sta tua madre?”. Se non tenessi traccia delle informazioni che lo studente mi fornisce ogni volta, mi dimenticherei sicuramente molti dettagli e potrei risultare superficiale e noncurante.

6. Riempire scatole

Non smetterò mai di ripeterlo: gli studenti non sono scatole da riempire. Ecco perché, con il tempo, ho smesso di fornire loro liste asettiche di vocaboli, di coniugazioni, di preposizioni… perché senza un certo contesto significativo, entreranno da un orecchio e usciranno dall’altro. In realtà, sì che mando loro un piccolo vocabolario, ma si tratta di parole che abbiamo scoperto durante la lezione. Spesso aggiungo delle immagini, per facilitare la memorizzazione, ma nulla di più. Ancora meglio è quando cerco di spronare lo studente a riutilizzare tali nuove parole. “Perché non provi a scrivermi 7 frasi utilizzando quel vocabolario? Ogni giorno, raccontami quello che hai fatto!” è una delle attività più consolidate e ben riuscite di sempre.

7. Non darmi tempo

Infine, ho imparato a pensare a me stessa. È vero, è importante coprire la giornata con quante più ore di lavoro sia possibile ma… i soldi non sono tutto. Anzi, spesso questa tendenza può rivelarsi controproducente e portare a guadagnare meno di quello che si pensasse. Il motivo è semplice: se non ci si dà tempo per prendere fiato tra una lezione e l’altra, la qualità della lezione sarà sempre più scarsa. Come conseguenza, gli studenti saranno sempre più insoddisfatti e si finirà per perderli come clienti. Quante volte, in passato, mi è capitato di arrivare in ritardo a una lezione online solo perché quella precedente aveva sforato l’orario. E può succedere, è normale! Se però non ci si dà tempo tra una lezione e l’altra il risultato è disastroso: si finisce per mostrarsi impazienti con lo studente precedente e mortificati con quello successivo. Non molto professionale, vero?

Ti ritrovi in quello che dico o c’è qualche punto su cui non sei totalmente d’accordo?

Fammi sapere cosa ne pensi in un commento, se ti va! Altrimenti, leggi altri articoli.

 

Grazie, ci sentiamo presto!

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E tu avresti accettato?

Marzo 9, 2022 by barbara

Sono arrivata a Londra da poco più di un mese e ho già trovato un nuovo lavoro come insegnante di italiano per stranieri. Incredibile eh? Quello che pensavo anch’io… Prima di rendermi conto di quanto la città sia viva, specialmente dal punto di vista lavorativo, tanto dal non rendere molto difficile trovare qualcosa da fare.

Le persone vanno e vengono, a Londra, e la vivacità del mercato immobiliare ne è la più evidente testimonianza: per trovare un appartamento in affitto ci sono delle vere e proprie gare tra i candidati che cercano di conquistarsi la fiducia del padrone di casa.

E il lavoro non è da meno, tanto che quello di cui sto per parlarti me lo sono trovata prima di partire, quando ancora ero in Italia.

Ho usato un trucchetto che mi sento di condividere con te (è uno dei miei più preziosi segreti, sai?) cioè ho utilizzato lo strumento gratuito di Google Alert, che mi informa ogni volta che qualcuno pubblica una nuova pagina su Google che da qualche parte includa una certa parola chiave (impostata da me).

Ed ecco come mi è comparso, direttamente nella casella di posta elettronica, un annuncio che titolava “Italian Teacher for Monday Dinners in London” e che come luogo di lavoro aveva… Un ristorante!

Dopo aver inviato una email per manifestare interesse (e curiosità!) riguardo al lavoro, sono stata contattata dal proprietario per una breve videochiamata conoscitiva. Fin da subito il proprietario mi ha dato l’impressione di non curarsi troppo della parte “educativa” del progetto, quanto piuttosto dell’aspetto legato all’intrattenimento.

Ma io in quel momento ero sommersa dagli scatoloni del trasloco e, a dire il vero, non avevo proprio capito bene ogni cosa che mi avesse detto questa persona, che parlava un inglese molto colloquiale e… Molto veloce!

Fatto sta che sono partita e nel bel mezzo della seconda fase di delirio (se hai mai affrontato un trasloco, so che puoi capirmi) il proprietario del ristorante mi ha ricontattata per un lunch meeting.

Ora, ti lascio immaginare la situazione. Io che, con un quaderno in borsa e la testa piena di pensieri, mi allontano sempre più dalla mia zona di comfort e apro la porta del ristorante. L’ambiente è accogliente e silenzioso, perché il locale non è ancora aperto al pubblico.

Il caposala mi fa cenno di seguirlo in una zona più piccola, dove il proprietario e la moglie mi attendono seduti a una tavola apparecchiata. Iniziano “i convenevoli” in inglese e subito mi trovo di fronte a diversi ostacoli. Il modo di parlare del proprietario è davvero difficile da comprendere, considerate le mie limitate competenze linguistiche di questo periodo. E poi arriva il menù: cosa scelgo? Capirò in seguito che la proposta del cuoco è di utilizzare ingredienti italiani per creare piatti innovativi di ispirazione italiana. Una bellissima idea ma anche un grande punto di domanda quando non conosci la traduzione inglese delle pietanze.

Chiacchieriamo del più e del meno (il cosiddetto small talk) e ogni tanto accenniamo al corso di italiano di cui dovrei occuparmi.

Capisco che il corso sarà organizzato una volta a settimana in due turni, uno a partire dalle 18:30 e l’altro a partire dalle 20. Il primo turno è dedicato alle famiglie con bambini, il secondo ai soli adulti. Ai partecipanti verrà proposta una cena con lezione di italiana annessa.

Bello, vero?

Magnifico… Se sei un partecipante.

Se sei l’insegnante, sono un altro paio di maniche.

Sono sicura che, come collega, ti saranno venute in mente alcune domande come:

  • Quanti partecipanti?
  • Quali sono gli obiettivi del corso?
  • Qual è il livello dei gruppi?

Ebbene, ho scoperto presto che queste sono domande da insegnante, non da imprenditore.

Tranne la prima, la cui risposta è stata “Quanti più partecipanti riusciremo ad attirare, meglio è!”

(Ok, ora puoi sostituire la parola partecipante con “cliente”.)

E se te lo stai chiedendo, sì, ho messo subito le mani avanti: ho detto che i gruppi che di solito organizzo vanno da un minimo di tre a un massimo di cinque partecipanti, altrimenti diventa davvero difficile riuscire a coinvolgerli tutti e quindi a ottenere dei risultati, anche solo in termini di motivazione personale a continuare lo studio dell’italiano.

E poi il livello, è importantissimo! I gruppi “misti” possono funzionare se i partecipanti sono collaborativi, ma qualcuno di loro sarà sempre svantaggiato e si finisce fare un minestrone che non piace a nessuno (senza contare il lavoro doppio che deve fare l’insegnante per dosare la difficoltà delle attività).

E vogliamo parlare dei bambini? Un corso che si rivolge ai bambini ha dei contenuti completamente diversi da uno che si rivolge agli adulti.

Infine, parliamo dei compensi. La proposta che mi è stata fatta è di 120 Sterline britanniche a serata (due turni), inclusa la cena. L’orario effettivo di lavoro è dalle 18:30 alle 21:15, ma ovviamente è bene arrivare una mezz’ora prima per sistemare il proiettore. E la preparazione, come spesso accade, in questo caso non è inclusa.

Io, alla fine, una decisione l’ho presa. Ma prima di raccontartela sono curiosa di sapere… Tu avresti accettato?

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Le ovvietà (per te) che fanno la differenza (per i tuoi studenti)

Gennaio 20, 2022 by barbara

Essere insegnante di italiano per stranieri per tre anni mi ha portata a incontrare persone molto diverse tra loro e molto diverse da me. Qualcuno le chiama differenze “culturali”, sta di fatto che vivere a chilometri di distanza qualche differenza la fa. E per noi insegnanti, questa differenza può trasformarsi da ostacolo a enorme vantaggio! Per farti capire cosa intendo, ho raccolto per te sette differenze tra le mie abitudini italiane e quelle dei miei studenti stranieri che ho scoperto in questi anni. Se saprai usarle al meglio, potrai costruirci intorno delle lezioni di italiano davvero memorabili.

La seconda classe

In questo periodo sto tenendo un corso di italiano online a un gruppo di studenti “principianti”. Il tema del corso è il viaggio e l’obiettivo è preparare gli studenti al loro primo viaggio in Italia. Ogni lezione ha una parte di lessico preparatorio attraverso esercizi di associazione immagine-parola tramite i quali poter apprendere nuovi vocaboli in modo giocoso. Arrivati alle parole “Prima classe” e “Seconda classe” i partecipanti americani sono scoppiati in una risata incontenibile. Cosa c’è? Ho chiesto loro, cercando di capire se avessi sbagliato qualcosa. Eppure, l’unica cosa che avevo fatto era proporre due immagini che raffigurassero l’interno delle carrozze, sulla cui porta compare rispettivamente un 1 e un 2 a indicazione della classe di viaggio sui treni italiani. Finalmente, una di loro mi spiega che negli Stati Uniti non esiste la seconda classe, ma solo la prima. In pratica, non vedeva la necessità di tale indicazione, risultandole piuttosto ridicola.

Le donne in televisione

Uno dei temi che mi piace più trattare durante le lezioni online di italiano è quello dell’equità di genere, del maschilismo e del femminismo. Mi piace perché sono temi attuali, su cui tutti possono farsi un’opinione e perché penso sia molto interessante confrontare la situazione nei nostri rispettivi Paesi. Spesso, ad esempio, propongo ai miei studenti più “avanzati” l’ascolto e la discussione di uno degli episodi del podcast Morgana, che è ben fatto e penso mostri una parte di Italia molto progressista. E poi, in una manciata di minuti, tutta questa stima verso il progresso del mio Paese sfuma. Succede ogni volta che accendo la tv sulla BBC e vedo presentatrici dal fisico formoso, talvolta di etnia africana, bellissime nella loro unicità e disinvolte come se le loro caratteristiche fisiche non importassero, così come dovrebbe essere. Tutte indossano abiti “normali”, spesso accollati e piuttosto coprenti. Differenze con l’Italia? Lascio a voi tirare le somme…

ll phon in bagno

Dove ci si asciuga i capelli in Italia? Beh, in bagno, ovvio. Eppure, ho appena scoperto che questa consuetudine non vale per tutti i Paesi. In Inghilterra, per esempio, collegare il phon alla presa di corrente del bagno è assolutamente vietato per motivi di sicurezza e anzi è reso impossibile (il limite dei watt consumabili consente al massimo di utilizzare un rasoio elettrico). Quindi, ecco, forse è il caso di menzionare questa differenza a uno studente inglese in procinto di partire per una vacanza-studio in Italia. Oppure per tutti i tuoi studenti (sono sicura che saranno in molti) che pianificano il prossimo viaggio nel Bel Paese, magari il primo! Non trovano l’asciugacapelli nella loro camera d’albergo? Se c’è, si trova probabilmente in bagno.

La viabilità

Si sa, l’Italia non è proprio famosa per l’ordine e il rispetto delle regole. Tuttavia, c’è una cosa che non ci preoccupiamo di far funzionare, ma semplicemente la rispettiamo in base alle regole che vigono nel nostro Paese: la viabilità. D’accordo, quando si tratta di rotonde ci sono ancora molti dubbi su quale lato della strada occupare e su quando mettere o meno la freccia. Però, diciamocelo, coi semafori è tutto chiaro, no? Con il rosso si sta fermi, con il verde si parte. E con il giallo si rallenta (badare bene, NON si accelera) perché il giallo viene prima del rosso, di cui ci segnala l’arrivo. Ebbene, questo non è uguale in tutti i Paesi. In Inghilterra, oltre a guidare dalla parte opposta a quella a cui siamo abituati, il semaforo si illumina di giallo anche prima dell’arrivo del verde. E poi, vogliamo parlare degli attraversamenti pedonali? Se in Italia non ci preoccupiamo del nostro turno da pedoni (semplicemente lo attendiamo), in Inghilterra come in Spagna è importante ricordarsi di prenotare l’attraversamento, premendo l’apposito bottone. Quindi insomma, tranquillizzate pure i vostri studenti: il verde prima o poi arriverà anche se non lo hanno chiamato!

I guanti al supermercato

Proprio ieri mi trovavo in un supermercato inglese, nel cuore di Londra, in cui per la prima volta ho fatto la spesa. Arrivata al reparto frutta e verdura, ho tratto un sospiro di sollievo: sacchetti biodegradabili e bilancia erano al loro posto… Ma dov’erano i guanti per prelevare i prodotti? Dopo essermi guardata in giro e aver notato che nessuno sembrava preoccuparsene, mi sono approcciata anch’io alle cipolle… a mani nude! E così, mentre con la coda dell’occhio rimanevo in allarme per il mio imminente arresto, mi sono tornate in mente le parole di una mia studentessa tedesca in Italia: “Ma perché voi italiani usate sacchetti biodegradabili per rispettare l’ambiente e poi obbligate i clienti a usare guanti di plastica monouso?”. Eh, bella domanda, Christine!

Timbrare il biglietto

Durante lo stesso corso di cui ti ho parlato prima, mi sono accorta di aver creato una gran confusione ai partecipanti. In realtà, non era proprio tutta colpa mia. Voglio dire, non potevo fare altrimenti: mi sono ritrovata a mostrare loro una foto di quei “lenzuoli” che sono i biglietti del treno italiani e a spiegare che il biglietto va “obliterato” oppure “timbrato” prima della partenza nel caso in cui il posto non sia assegnato (quindi sui regionali e sui regionali veloci). Invece, su Intercity, Frecce e Italo non bisogna preoccuparsene dal momento che il posto è assegnato. Poi però, succede che qualcuno deve andare da Milano a Siena, cambiando a Firenze. Il viaggio si divide in due: un primo sul Frecciarossa, senza necessità di timbrare il biglietto, un secondo su un regionale, per cui occorre obliterarlo. Insomma, una gran confusione eh? Se cercate un libro divertente e illuminante su questo tema, leggete (o consigliate) “Coincidenze” di Tim Parks.

La mancia ai camerieri

Nella maggior parte dei Paesi occidentali, si è soliti lasciare una mancia al cameriere o alla cameriera che ci ha servito al tavolo. Per esempio in Inghilterra, in Francia, negli Stati Uniti, in Germania. Rispetto all’Italia, questa viene proprio esplicitata nello scontrino. In Spagna invece non è inclusa ma è consuetudine lasciare il 5-10% in più. Lo stesso vale per tutti gli altri Paesi menzionati: laddove non è indicata, meglio lasciare dal 10 al 15% di mancia ai camerieri (15-20 negli Stati Uniti) per non fare brutta figura. In pratica, questa è l’unica differenza di cui i tuoi studenti stranieri non dovrebbero preoccuparsi, nonché uno dei motivi per cui i ristoratori italiani amano i clienti stranieri!

 

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Vorresti che ne scrivessi altri simili e magari avresti qualche suggerimento per me? Scrivimi!

Se hai ancora cinque minuti di tempo, dai un’occhiata a tutti gli altri articoli che io e il team di ItalianoXstranieri abbiamo scritto in passato.

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Idee per le lezioni di italiano durante le vacanze di Natale

Dicembre 23, 2021 by barbara

Sono tanti gli studenti che approfittano delle vacanze di Natale per dedicarsi all’apprendimento dell’italiano. Specialmente i lavoratori, normalmente impegnati durante la settimana, scelgono il periodo delle feste per fare un corso di italiano online con gli insegnanti disponibili. Sei tra questi ultimi? Ecco alcune idee per realizzare lezioni interessanti durante le vacanze di Natale, per tutti i livelli.

  • Le tradizioni natalizie

Una delle ricchezze dell’Italia è senza dubbio la varietà in quanto a tradizioni. Quale emiliano-romagnolo non si è mai ritrovato nella (caldissima come il loro brodo) discussione riguardante anolini, tortellini, cappelletti e compagnia? (Ok, forse non avrei dovuto menzionare il brodo…).

Ebbene, non c’è modo più semplice per esprimere il proprio punto di vista che durante una lezione di italiano a stranieri che certamente ti daranno ragione.

La prima cosa da fare è fornire le prove. Il web brulica di immagini accattivanti e non solo di cibo. Io, ad esempio, me ne sono procurata una dell’albero di Natale (che nella mia città si fa per l’Immacolata, l’8 di dicembre), una di Santa Lucia con il suo asinello (per raccontare quel giorno magico che è il 13 dicembre per i bambini di Piacenza), una del panettone e una del pandoro (per raccontare un altro famoso dilemma gastronomico italiano) e così via. Con una manciata di foto, non ho solo riempito una lezione (anche due, volendo!) ma ho anche raccontato tutte le tradizioni italiane per il periodo natalizio a chi non le conosceva.

L’utilizzo delle fotografie rende queste lezioni adatte a studenti di ogni livello, anche principianti.

  • L’anno che verrà

Lucio Dalla è forse il mio cantautore italiano preferito e L’anno che verrà è uno dei suoi capolavori. Si tratta di una canzone che si presta a diverse interpretazioni, a cominciare dal fatto che sia più o meno triste o allegra.

È una canzone che può essere letta su diversi livelli:

  • quello linguistico (è scritta sotto forma di lettera, piuttosto prosaica e non troppo complessa)
  • quello semantico (il testo è una magistrale sintesi degli eventi che investirono l’Italia del 1978, nel pieno degli “anni di piombo”. Scopri di più leggendo questo articolo)

La ricchezza di significati e strutture linguistiche della canzone la rende adatta a studenti di livello intermedio e avanzato, interessati alla cultura italiana.

 

Nell’augurarti buone feste (o buon lavoro!), ti invito a lasciare un commento se hai voglia di condividere con la community altre idee per le lezioni di italiano durante le vacanze di Natale.🎄

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Cosa si porta a casa lo studente?

Dicembre 18, 2021 by barbara

Le liste mi piacciono moltissimo, specialmente le cosiddette to do list. Spuntare le parole punto per punto è gratificante e certe volte dà pure un senso alla giornata, che sia stata impegnata in ufficio o al supermercato. Fatto, finito, missione compiuta.

Quando invece si tratta di insegnamento, le liste diventano pericolose. Secondo me sono molto utili per stilare il programma del corso o i compiti delle vacanze di Natale, ma lo sono un po’ meno quando si utilizzano allo scopo di far assimilare dei vocaboli.

Le parole estrapolate dal loro contesto, riportate asetticamente una dopo l’altra, diventano pesanti come dei macigni per la memora.

Sì, ma! – potrebbe ribattere qualcuno – come faccio a far percepire allo studente che ha imparato qualcosa di nuovo dopo la lezione? Cos’altro posso lasciargli da “portarsi a casa”?

Un concetto può bastare

L’esperienza mi ha insegnato che gli studenti non sono scatole da riempire. Ogni volta che li incontriamo ci troviamo davanti una grande complessità: la personalità, l’umore del giorno, le aspettative, le conoscenze e i dubbi. La loro scatola è tutt’altro che vuota!

Un bravo e una brava insegnate sa cogliere quella complessità e capire quale aspetto abbia maggiore peso in una certa lezione, che – ricordiamolo sempre – si tratta di un evento unico e inimitabile. Così, una volta si ritroverà a stravolgere i piani e rimarrà a chiacchierare a lungo dei problemi famigliari del suo interlocutore, ma la volta dopo potrebbe rendersi conto che lo studente non ha affatto voglia di parlare di com’è andata la sua settimana. In quel caso, guardare insieme un video divertente è proprio ciò che gli serve per lasciarsela alle spalle, quella brutta settimana.

Certo, lo scopo della lezione non è terapeutico ma educativo. Ed è proprio qui che entriamo in gioco noi insegnanti. Noi che, nel momento giusto, sappiamo cogliere il concetto che darà un senso alla lezione di italiano.

Prendiamo il caso (vero, fresco di stamattina) dello studente che ci racconta che ha comprato delle saponette come regalo di Natale e ora casa sua smells. Come non cogliere l’occasione di insegnargli che to smell in italiano si dice in due modi diversi? Ovviamente, non prima di avergli lasciato finire il discorso per non interromperlo.

Potrei farti innumerevoli esempi, ma sarebbero difficili da spiegare perché sono piuttosto unici. Non parlo degli errori, che spesso si ripetono, ma del momento giusto.

Il momento giusto non si può prevedere, bisogna semplicemente stare all’erta e rimanere ricettivi per tutta la durata della lezione. Col tempo, si impara anche ad avere pazienza, per non bruciarsi tali occasioni nei primi minuti di lezione.

Infatti, non serve strafare: un concetto può bastare.

 

La pensi diversamente? Lascia un commento!

Oppure… Leggi altri articoli.

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Correggimi se sbaglio

Novembre 18, 2021 by barbara

Come senz’altro fanno molti di voi, anch’io collaboro con più di una scuola nel ruolo di insegnante di italiano a stranieri.

Una di queste è un’azienda spagnola che si occupa di formazione linguistica alle aziende, pertanto la maggior parte dei collaboratori sono spagnoli. Tra questi, c’è Álvaro, un gentile insegnante di spagnolo che si è occupato del mio OnBoarding, in particolare mi ha insegnato a utilizzare la piattaforma online “Moodle” (io non la conoscevo prima… E tu l’hai mai usata?)

Ora, io e Álvaro avremmo potuto comunicare in inglese, scegliendola come lingua veicolare, ma gli ho proposto di parlare in spagnolo, dal momento che me la cavo abbastanza bene (ho vissuto circa un anno in Spagna, lavorando per due distinte aziende e ho quindi acquisito una discreta padronanza dello spagnolo in ambito lavorativo).

Ok, dicevo. Io e Álvaro abbiamo iniziato a comunicare in spagnolo con lo scopo di risolvere un problema, ovvero di permettere a me di diventare autonoma nella gestione di un lavoro. Questo scambio non aveva la finalità di insegnare a me lo spagnolo, né di migliorarlo, ma semplicemente di raggiungere un obiettivo terzo.

Lo so che ho ribadito più volte quanto sia importante per i nostri studenti apprendere la lingua attraverso l’esecuzione di un’attività diversa dalla lingua stessa (si chiama metodologia CLIL, la conosci?) ma devo dirti che quello che mi è successo mi ha fatto riflettere. Dopo avermi fatto decisamente innervosire.

É successo che Álvaro si è spontaneamente proposto di regalarmi una lezione di spagnolo gratuita, anzi due o tre. Sì, perché mentre parlavo e dopo avergli scritto un messaggio, si preoccupava tempestivamente di correggermi. Accenti, tempi verbali, modi di esprimermi… ad Álvaro non sfuggiva proprio niente.

Io gli rispondevo “Grazie, molto utile!” (in spagnolo, ma lo scrivo in italiano perché ora ho paura di sbagliare) e lui rincarava la dose. Alla fine mi sono ritrovata con almeno cinque liste di annotazioni e il ricordo di un momento di formazione pieno di interruzioni e digressioni.

Ora, so di essere una persona un po’ permalosa, ma sono anche consapevole di avere delle carenze in spagnolo. Non è la mia lingua madre, la padroneggio a un livello che si aggira intorno al B2. Però, invece dell’inglese, ho scelto di parlare con Álvaro in spagnolo, perché pensavo di facilitarlo. Era il mio modo per essere gentile con lui.

Cosa ho imparato da tutta questa storia? Perché te la sto raccontando?

Perché mi ha fatto pensare a tutte le volte in cui è necessario o meno correggere gli studenti di italiano e sarei molto curiosa di sapere come gestisci questo aspetto dell’insegnamento dell’italiano.

Di solito, tendo a non correggerli mentre stanno parlando e si stanno sforzando di esprimere un concetto o di raccontarmi qualcosa. Lo reputo piuttosto fastidioso e demotivante. Piuttosto, cerco di appuntarmi i loro “errori” e glieli ripropongo verso la fine della sessione, spronandoli a ragionarci su insieme.

Devo confessarti che questo metodo non è sempre applicabile. Ci sono delle volte in cui la reiterazione dell’errore diventa rischiosa e quindi intervengo prontamente, interrompendoli. Per intenderci, ecco alcuni esempi di imprecisioni molto frequenti tra gli studenti anglofoni: il “governamento” (invece di “governo”), “recemente” (invece di “recentemente”), “io sono inglesa” o “io sono irlandesa” (invece di “inglese” e “irlandese”).

Insomma, personalmente continuo a pensare che la lingua sia uno strumento comunicativo, un modo per raggiungere uno scopo. Certo, si può ragionare in termini “metalinguistici” (quando, cioè, parliamo della lingua stessa), ma anche in quest’ultimo caso non bisognerebbe dimenticarsi che la lingua non è il fine, ma il mezzo.

Correggimi se sbaglio.

 

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Forse non è così ovvio come sembra (a te)

Novembre 3, 2021 by barbara

Lavori per una scuola o autonomamente? Forse, come me, entrambe le cose.

Se hai provato a cercare lavoro in proprio oltre ai corsi che ti vengono assegnati da un intermediario come un’azienda o una scuola (ne avevamo parlato qui, ti ricordi?) forse ti sarai accorta/o che non basta dire “Hey, insegno italiano agli stranieri!” per trovare nuovi studenti.

Più che dirlo (tutti possono farlo, no?) devi trovare il modo di mostrare la tua professionalità e le tue competenze come insegnante di italiano per stranieri. Non esiste “il modo giusto”, ognuno di noi deve trovare il suo.

Io, per esempio, ho iniziato a scrivere storie per raccontare l’Italia dal mio punto di vista e cercare di combatterne gli stereotipi. Con queste storie ho creato anche un podcast, ma non ti metto il link perché non è questo il punto.

ll punto è che, dopo aver speso molto tempo a “scervellarmi” su quale fosse la value proposition che volessi promuovere con la mia attività, mi sono ritrovata a leggere la richiesta di una lettrice (o ascoltatrice) che, senza peli sulla lingua, mi diceva questo. Ti riporto le sue parole letteralmente:

Dear Teacher,
I enjoy listening to your stories, though I understand few of the stories, but listen to get used to pronunciation.
I would prefer basic children stories, if possible.

Insomma, in tre righe questa persona mi ha dimostrato di non aver capito niente di quello che faccio. Non scrivo storie per bambini, scrivo storie per adulti che vogliono imparare italiano e cerco di raccontare la società italiana, non favole.

Eppure, ho deciso di riesumare una vecchia storia per bambini seppellita sotto strati di polvere tra i libri dell’università e l’ho pubblicata.

L’ho fatto più che altro per dimostrare a quella gentile signora e a tutti gli altri che una storia per bambini non è più facile da comprendere a livello linguistico, anzi!

Innanzi tutto, una storia per bambini è sintetica e la sintesi, sia a livello di comprensione che di produzione, è una competenza che si sviluppa solo con una certa padronanza della lingua. E poi, le storie per bambini sono spesso (e non è azzardato dire sempre) scritte al passato remoto, un tempo piuttosto ostico per i nostri studenti, come ben sai.

Insomma, mi pareva più che ovvio che questa richiesta fosse assurda! (Sì, iniziavo a scaldarmi).

E poi è successo che un’altra persona, che aveva letto la mia storia, mi ha riferito che non ci aveva capito niente e si sentiva molto frustrata per non essere riuscita a capire nemmeno una storia per bambini!

Fantastico, ho pensato. Di male in peggio. Quella storia non solo non mi aveva supportata ad avvalorare la mia testi, ma al contrario mi aveva remato contro, demotivando gli studenti.

Poi, mi sono calmata.

Ho riflettuto sul fatto che ci ho messo anni di università per capire che le storie per bambini sono molto difficili da scrivere e mesi di lavoro per capire che lo sono anche da comprendere. Ci ho messo molto tempo per capire molti altri concetti che cerco di trasmettere attraverso quello che faccio.

Sembra però che io abbia bisogno di ancora molto tempo per tenere a mente che forse, quello che per noi appare ovvio, non è lo stesso per le persone a cui vorremmo trasmettere le nostre conoscenze.

PS. Alla fine, ho scritto alla signora e le ho suggerito di dare un’occhiata qui. Sul catalogo di EasyReaders.org non troverà storie per bambini, ma una serie di storie scritte appositamente per studenti che stanno imparando italiano, divise per livello. Perché anche le storie per adulti possono essere semplici, se vengono semplificate con sapienza 😉

 

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