Sono insegnante di italiano come lingua straniera da oltre tre anni e, a discolpa del fatto che possano sembrare pochi, ribatto dicendo che non faccio altro. Non è un hobby, è un lavoro a tempo pieno che sperimento giorno dopo giorno, lezione dopo lezione. Con questa lista, vorrei rivolgermi a chi forse ha appena intrapreso questo percorso o desidera cominciare a lavorare come insegnante di italiano a stranieri. Queste sono le cose che avrei voluto sentirmi raccontare tre anni fa…
1. Dimenticarmi del fuso orario
Lavorare online significa tenere in considerazione una serie di fattori che la presenza non prevede. Primo tra tutti, il fuso orario. Lo sapevi che in Europa si passa dall’ora solare a quella legale (e viceversa) in date diverse rispetto agli Stati Uniti? E ancora diversa è la situazione rispetto all’Australia, che si trova in un altro emisfero. E poi, ci sono alcuni Paesi (solo per citarne uno, la Georgia, così come tutti quelli del Continente Africano) che non adottano mai l’ora legale. Cosa significa tutto questo? Che bisogna prestare molta attenzione quando un corso a cadenza settimanale viene organizzato a cavallo degli equinozi. Per rimanere sempre aggiornata, io utilizzo uno strumento gratuito che si chiama TimeBuddy, dove posso facilmente confrontare la mia time zone con quella dei miei studenti, verificando eventuali cambiamenti tramite il calendario. Un consiglio che mi sento di dare agli insegnanti è quello di cercare di mantenere fisso l’orario dello studente, adattando il proprio di conseguenza.
2. Pensare che la responsabilità sia solo dell’insegnante
All’inizio mi struggevo e mi colpevolizzavo se vedevo che lo studente non faceva progressi. Mi sforzavo di spiegargli le cose, di dargli dei compiti, di ripetere con pazienza concetti che gli avevo già ribadito più volte. Non è sempre così, ovviamente. Alcuni studenti si mostrano collaborativi, ripassano quello che è stato fatto durante la lezione e si appassionano a contenuti italiani che trovano gratuitamente sul web. Qual è la differenza? Nel primo caso, lo studente mette tutta la responsabilità sull’insegnante, come se quest’ultimo/a avesse la bacchetta magica e fosse in grado – in un’ora a settimana nei migliori dei casi – di trasmettergli tutta la sua conoscenza. Nel secondo caso, l’insegnante è una guida. Il suo compito è rendere lo studente sempre più sicuro di sé e motivato, trovando argomenti di discussione interessanti e suggerendogli materiale di approfondimento in linea con i propri interessi (quelli dello studente). Sento spesso molte insegnanti lamentarsi del fatto che i propri studenti abbiano iniziato a seguire un tale podcast o un tale canale YouTube per imparare l’italiano. La loro critica ha origine dalla paura che questi content creators possano in qualche modo “rubargli il lavoro”. Non è così! Il ruolo dell’insegnante è importantissimo ma non è incompatibile con l’auto-apprendimento dello studente.
3. Fidarmi della percezione degli studenti
Prima di iniziare un percorso di apprendimento con uno studente, gli sottopongo alcune domande come per esempio: Perché vuoi imparare italiano? Quali sono i tuoi obiettivi? Quale pensi che sia il tuo livello attuale? Vuoi fare più conversazione o più grammatica? Le risposte a queste domande forniscono un aiuto prezioso per creare un corso di italiano che sia il più possibile soddisfacente e utile per un particolare studente. Ma attenzione, non bisogna fidarsi troppo! C’è una linea, personalissima nella testa di ciascun insegnante, che non deve essere superata. Questo confine si forma con l’esperienza, che insegna che – molto spesso – lo studente non ha proprio le idee chiarissime. È bene ascoltare le sue esigenze ma non le indicazioni su come sviluppare il modo per rispondervi. Il perché può deciderlo lo studente, ma il come, il cosa e il quando spettano all’insegnante.
4. Spiegare
I giornalisti e in generale gli scrittori, nel loro lavoro seguono un principio tanto semplice quanto illuminante: Show, don’t tell. Significa che, nel momento in cui si vuole trasmettere un messaggio, è molto più efficace mostrare un fatto, piuttosto che raccontarlo in modo prolisso e retorico. Lo stesso concetto può essere applicato all’insegnamento dell’italiano. Vuoi che lo studente impari a utilizzare la forma del lei? Lascia che se la guardi da solo, a casa, prima della lezione, e poi proponigli di simulare una conversazione tra due sconosciuti in un ambiente pubblico. Vuoi che lo studenti impari l’imperativo? Raccontagli una ricetta, mentre gli mostri l’immagine del piatto finale. Insomma, la lingua serve soprattutto per comunicare, non solo per spiegare.
5. Non lasciare traccia
Una lezione di italiano non si esaurisce solo nel tempo effettivo in cui lo studente incontra l’insegnante. Di fatto, c’è un’importantissima parte antecedente e un’altrettanto importante parte successiva. Quella antecedente è da intendersi come preparatoria, che può significare anche solo rileggere quello che è stato fatto la volta precedente. Questo è possibile solo se l’insegnante si impegna a tenere meticolosamente traccia di come si è svolta la lezione, appena questa finisce. Quando infatti si gestiscono più corsi individuali o di gruppo con più studenti, può risultare difficile stare al passo con la vita di tutti i partecipanti. Nel mio personalissimo registro (io ne uso uno online, uno strumento che si chiama Trello) mi appunto ogni dettaglio che so che potrebbe tornarmi utile. Per esempio, per creare una buona connessione con lo studente, durante il cosiddetto small talk che precede ogni lezione, mi piace fagli domande personali: “Come è andato il compleanno di tua figlia?”, “Hai trovato la lampada che cercavi?”, “Come sta tua madre?”. Se non tenessi traccia delle informazioni che lo studente mi fornisce ogni volta, mi dimenticherei sicuramente molti dettagli e potrei risultare superficiale e noncurante.
6. Riempire scatole
Non smetterò mai di ripeterlo: gli studenti non sono scatole da riempire. Ecco perché, con il tempo, ho smesso di fornire loro liste asettiche di vocaboli, di coniugazioni, di preposizioni… perché senza un certo contesto significativo, entreranno da un orecchio e usciranno dall’altro. In realtà, sì che mando loro un piccolo vocabolario, ma si tratta di parole che abbiamo scoperto durante la lezione. Spesso aggiungo delle immagini, per facilitare la memorizzazione, ma nulla di più. Ancora meglio è quando cerco di spronare lo studente a riutilizzare tali nuove parole. “Perché non provi a scrivermi 7 frasi utilizzando quel vocabolario? Ogni giorno, raccontami quello che hai fatto!” è una delle attività più consolidate e ben riuscite di sempre.
7. Non darmi tempo
Infine, ho imparato a pensare a me stessa. È vero, è importante coprire la giornata con quante più ore di lavoro sia possibile ma… i soldi non sono tutto. Anzi, spesso questa tendenza può rivelarsi controproducente e portare a guadagnare meno di quello che si pensasse. Il motivo è semplice: se non ci si dà tempo per prendere fiato tra una lezione e l’altra, la qualità della lezione sarà sempre più scarsa. Come conseguenza, gli studenti saranno sempre più insoddisfatti e si finirà per perderli come clienti. Quante volte, in passato, mi è capitato di arrivare in ritardo a una lezione online solo perché quella precedente aveva sforato l’orario. E può succedere, è normale! Se però non ci si dà tempo tra una lezione e l’altra il risultato è disastroso: si finisce per mostrarsi impazienti con lo studente precedente e mortificati con quello successivo. Non molto professionale, vero?
Ti ritrovi in quello che dico o c’è qualche punto su cui non sei totalmente d’accordo?
Fammi sapere cosa ne pensi in un commento, se ti va! Altrimenti, leggi altri articoli.
Grazie, ci sentiamo presto!
max dice
mi ritrovo moltissimo con quello che scrivi, brava! è proprio così!!
barbara dice
Grazie Max!
Michele Ward dice
Grazie mille dei tuoi suggerimenti.. E’ da 35 anni che insegno italiano all’universita’ e sempre trovo cose nuove nelle tue osservazioni.
barbara dice
Mi fa molto piacere Michele, grazie per leggere 🙂
francesca dice
Ecco un errore che facevo io, e non faccio più: riempire il silenzio.
Vincere l’horror vacui e rispettare i tempi di reazione e di sedimentazione dei miei studenti mi è costato. È stata l’esperienza ad insegnarmi che una certa quantità di silenzio è cosa buona e giusta, che l’interazione ha spesso tempi diversi per ciascuno di noi e che quel silenzio (prendo in prestito una bella definizione della scrittura) è “una mano fredda appoggiata su una fronte calda”.
Così adesso mi metto in ascolto, e quando sento la vocina dentro di me che dice “non sarà mica l’ora di dire qualcosa?” sorrido pensando a quante cose questo mestiere abbia insegnato anche a me.
barbara dice
Grazie per questa immagine, la adoro. E quanto hai ragione…