Tutte le considerazioni teoriche che formano il nostro bagaglio, tutta la consapevolezza didattica che ci impegniamo quotidianamente a dimostrare con i nostri studenti, ogni atto comunicativo che cerchiamo di far comprendere in aula, tutto il panorama linguistico che vogliamo trasmettere, insomma, si piega davanti a una prima domanda: quale italiano sto insegnando?
Fatti salvi alcuni contesti settoriali, nei quali la risposta al quesito è data dalla tipologia stessa del corso che ci viene assegnato (corsi di italiano legale, di italiano per il commercio, e via discorrendo), una riflessione sociolinguistica sulla natura dell’italiano che si ascolta in classe (portato da noi insegnanti o appreso dagli studenti chissà dove, chissà quando, chissà come) è quanto mai auspicabile. Ci consente da un lato di controllare il nostro input in maniera consapevole e coerente, dall’altro di veicolare l’output della classe attraverso un binario ragionato, attento e non casuale.
E questa riflessione sociolinguistica non può non partire dal concetto di variazione linguistica, tema questo che deve essere familiare a chiunque entri in classe e pretenda di insegnare l’italiano, a qualsiasi livello, in qualsiasi contesto. La variazione linguistica è uno spazio in continua evoluzione, che muta così come mutano le lingue, vive e fluttuanti nel tempo, che cambia nelle sue infinite concretizzazioni. I confini del nostro spazio variabile? Presto detti! Hanno nomi complicati, ma sono facilmente individuabili:
-variaibili diacroniche: la lingua cambia col tempo. Se ho una buona consapevolezza linguistica, posso riconoscere, con una minima approssimazione, se il testo che sto leggendo è stato scritto oggi, cento anni fa, quattrocento anni fa.
-variabili diatopiche: a Trieste e a Caserta si parla in maniera diversa. Senza addentrarci nel meraviglioso mondo dei dialetti, restando nel campo dell’italiano, non si può notare come esistano delle diversità nelle produzioni orali dei parlanti di ogni parte d’Italia. Queste diversità, appunto le variabili diatopiche, fanno sì che (oggi, ottant’anni fa non era così) ci si riesca a comprendere senza sforzo in tutta la Penisola. Fanno anche sì che il nostro parlato sia connotato localmente: a meno che non siamo attori o telegiornalisti, a meno che non decidiamo di omettere questa informazione su di noi, la nostra produzione orale racconta qualcosa di noi stessi, soprattutto racconta da dove veniamo.
-variabili diamesiche: la lingua parlata è diversa da quella scritta. A prescindere dal livello di formalità di una produzione linguistica, questa produzione muta, e non poco, nei due principali canali di comunicazione, quello grafico-visivo e quello fonico-auditivo.
-variabili diastratiche: sono le variazioni “sociali”, ovvero che riguardano le caratteristiche del parlante. Un professore universitario di 65 anni, nato e cresciuto in città, usa un italiano diverso rispetto a quello di un giovanotto che non ha ancora finito gli studi.
-variabili diafasiche: le situazioni fanno la differenza. Al cameriere del ristorante più elegante, formale e rinomato della mia città mi rivolgo diversamente di come normalmente io non faccia col barista che tutte le mattine mi prepara il miglior caffè del mondo.
Si badi: il breve riassunto qui proposto è solo un accenno, e ritengo sia molto meno dell’ABC fondamentale per chi si voglia vagamente interrogare sul tema: questi argomenti hanno riempito pagine e pagine di riflessione sociolinguistica. Considero necessario per chiunque voglia insegnare italiano con consapevolezza e cognizione di causa avere una certa dimestichezza almeno con Coseriu (1973), Berruto (1987 e 1993), Sobrero (1993). Per ragioni diverse, ma altrettanto valide, ritengo essenziale la lettura della Lettera a una professoressa, manifesto della scuola di Barbiana, edita per i tipi della LEF.
Dicevamo: la lingua è uno spazio con confini labili e mutevoli, uno spazio enorme, sconfinato, che è quasi del tutto impossibile conoscere nei suoi angoli più distanti. Insegnarla, in contesti L2 o LS, altro non è che fornire ai nostri studenti una mappa sempre più utile, sempre più versatile, affinché essi sappiano muoversi con autonomia ed efficacia all’interno di questo spazio fluttuante, senza perdersi, senza rimanere spaesati, sia nelle fasi di ricezione, sia nelle fasi di produzione.
Non possiamo aspettarci che uno studente B1 legga le Stanze di Poliziano e ne apprezzi l’arte, né che egli sappia scrivere un messaggio da inviare al Presidente della Repubblica o che possa cogliere le differenze tra l’italiano parlato da un napoletano da quello di un casertano. Possiamo però far sì che abbia un’autonomia tale da provare a riflettere per conto suo sulle variazioni dell’italiano contemporaneo. Le variazioni diatopiche sono, da questo punto di vista, facilmente apprezzabili: la stessa frase ripetuta da un telegiornalista del TG1 e dall’insegnante suonerà in maniera diversa, e se abbiamo fatto l’auspicabile lavoro sulla fonetica che tante volte ci capita di tralasciare, non sarà difficile far apprezzare questa diversità alla nostra classe. A tal proposito, si suggerisce De Mauro (1980): le sue riflessioni, anche se non mirate precisamente alla didattica, sono felicemente applicabili al nostro ambito.
Insomma: insegnare italiano non vuol dire solo riempire i nostri studenti di vocabolario, di forme verbali, di grammatica. Vuol dire dare loro una bussola e una mappa per districarsi nell’ampio spazio linguistico che, come abbiamo visto, loro scelgono di esplorare, tenendo bene a mente che questo spazio è fatto anche di espressioni informali, di enunciati che hanno un senso a Milano e un altro a Roma, di frasi che si scrivono ma non si dicono e si dicono ma non si scrivono. Di un’enormità di variazioni che loro, esploratori incerti, dovranno scoprire grazie alla nostra guida consapevole.
Berruto, Gaetano (1987), Sociolinguistica dell’italiano contemporaneo, Roma, La Nuova Italia Scientifica (14a rist. Roma, Carocci, 2006).
Berruto, Gaetano (1993), Varietà diamesiche, diastratiche, diafasiche, in Introduzione all’italiano contemporaneo. La variazione e gli usi, a cura di A.A. Sobrero, Roma – Bari, Laterza, pp. 37-92.
Coseriu, Eugenio (1973), Lezioni di linguistica generale, Torino, Boringhieri.
De Mauro, Tullio (1980), Guida all’uso delle parole, Roma, Editori Riuniti
Sobrero, Alberto A. (1993), Introduzione all’italiano contemporaneo, Roma – Bari, Laterza, 2 voll., vol. 2º (La variazione e gli usi).
stefi dice
Articolo estremamente interessante. Finalmente ci si rende conto che la lingua è una cosa viva, fluida e che presenta tanti aspetti diversi!