Come lavorare al meglio tra classi individuali e corsi collettivi
Detto e ridetto, letto e riletto: al centro c’è lo studente. Dobbiamo, e lo sappiamo bene, adeguarci alle esigenze della nostra classe, capire quali sono gli obiettivi di apprendimento e operare nella direzione che questi obiettivi ci indicano, anche se questo può richiederci un passo indietro rispetto alle nostre ambizioni, aspettative, velleità didattiche.
Questo intervento vuole essere uno spunto di riflessione su un aspetto della quotidianità dell’insegnamento col quale spesso ci imbattiamo: quanti sono gli studenti al centro della nostra azione didattica. Meglio: cosa e come dobbiamo cambiare il nostro approccio se lavoriamo con un solo studente o con una classe più numerosa.
I corsi individuali: chi li ama, chi li odia. Chi riesce a creare sempre una buona atmosfera col suo studente, chi si annoia e tende a mal sopportare lezioni così a stretto contatto.
I corsi individuali presentano dei vantaggi spesso macroscopici: tendenzialmente si trovano studenti motivati, con una buona apertura verso la lingua e un desiderio di imparare spesso ben strutturato. E questo è un bene, un gran bene. Uno studente motivato ci regala spesso qualche soddisfazione in più, e ci consente di alzare la nostra asticella dell’aspettativa di qualche tacchetta.
Un ottimo punto dei corsi individuali è che possono facilmente fungere da banco di prova per attività che non abbiamo mai provato prima d’ora: sono una valida cartina di tornasole per capire se quella lettura che non ci convince più di tanto sia o meno apprezzata dagli studenti, per avere conferme o smentite su materiale magari prodotto da noi che ci piacerebbe testare su una sola cavia, piuttosto che su un gruppo. L’esperienza insegna che i corsi individuali richiedono una grande flessibilità: ci troviamo davanti a studenti con aspettative piuttosto alte, per i quali spesso il corso di italiano è un investimento importante in termini di tempo e risorse. Nella pratica didattica questo si traduce in un’indicazione di grande buonsenso: non sarà lo studente a doversi modellare sui nostri ritmi, anzi. Saremo noi che ascolteremo costantemente le necessità, i bisogni, le capacità e la velocità di apprendimento di chi abbiamo di fronte. E se è vero che i corsi individuali ci consentono una totale personalizzazione della nostra attività didattica a vantaggio del nostro studente, è anche vero che quest’ultimo potrà trovarsi spiazzato dall’assenza di uno o più compagni di viaggio. Tante attività utilissime, linfa dei nostri corsi collettivi (i confronti in coppia, in piccoli gruppi, in plenum), non sono possibili in un corso individuale. Lo studente non ha la possibilità di confrontarsi con altri che, come lui, stanno apprendendo: non può immaginare gli altrui processi cognitivi, non può apprendere dall’apprendimento dell’altro o comunicare con un compagno che conosce l’italiano come lo conosce lui. L’unico confronto disponibile, insomma, è quello con l’insegnante, e questo ci impone di trovare continuamente delle altre modalità per provare a replicare in classe quei contesti comunicativi che un corso collettivo consente di ricreare con una certa fedeltà al vero.
Un discreto sforzo dev’essere fatto anche nel riadattare il materiale didattico dei corsi collettivi ai corsi individuali: quasi tutto il materiale che il mercato editoriale propone, infatti, è strutturato o per corsi collettivi, o per l’autoapprendimento. Riadattare materiale pensato per un gruppo e usarlo con uno studente solo non vuol dire semplicemente togliere qualche attività che il libro prevede (i vari confronti in coppia o in plenum), ma significa, più dettagliatamente, ripensare tutta l’unità didattica in un’altra chiave, avere una percezione più precisa del tempo che sarà richiesto per svolgere ogni attività e analizzare a priori se l’esercizio proposto è spendibile o meno con uno studente solo, cercando di combattere il più grande nemico che il corsi individuali richiedano di affrontare: la noia.
Un cenno a parte merita l’atmosfera che si riesce a creare in aula quando siamo da soli con il nostro studente: non dobbiamo dare per scontato che ci si trovi con lui sulla stessa lunghezza d’onda, né dobbiamo considerare un corso individuale come una passeggiata che non richieda la preparazione necessaria. Anzi, è vero il contrario: è nostro dovere fare un piccolo sforzo in più per costruire quell’ambiente di magica operosità che un corso collettivo ben riuscito può spesso regalarci.
Tutt’altro discorso riguarda invece i corsi collettivi. Le carte in gioco cambiano, si rimescolano e si moltiplicano tante volte quanti sono i nostri studenti. La riflessione sull’omogeneità del nostro pubblico è doverosa: è infatti piuttosto improbabile che la classe che ci troviamo davanti sia formata da studenti che abbiano la stessa età, gli stessi interessi, la stessa velocità di apprendimento e una simile formazione culturale. Anzi: tipicamente troviamo un signore tedesco in pensione che impara l’italiano per passione, il diplomatico che ha il corso pagato dall’ambasciata e che sa che l’italiano non gli sarà utile, perché la sua prossima sede sarà in Medio Oriente, la suorina del sud-est asiatico un po’ spaesata, lo studente Erasmus di Berlino… Insomma, una miscellanea che talvolta ci regala qualche problema di gestione. Cosa proporre? A che ritmo? Con che velocità?
Nel gruppo dobbiamo ricordarci di essere dei direttori d’orchestra che, dal podio, con qualche tocco di bacchetta, armonizzano gli archi con gli ottoni e riescono a ottenere sinfonie incredibili. Paragone ardito? Non tanto. Noi abbiamo il dovere di ascoltare ongi voce che si sollevi dal gruppo, ma sarà poi il gruppo a dover seguire noi, guide più o meno esperte nel cammino dell’apprendimento linguistico. Ogni gruppo che si rispetti ha la sua voce fuori dal corso: quello studente che alza la mano in continuazione, che interviene quando non è il suo turno di parola, che schiaccia il resto della classe con la sua presenza un po’ ingombrante o che, al contrario, frena l’andamento spedito e svelto di un gruppo particolarmente felice. La tentazione è grande: suggerirgli un corso individuale che gli consenta di esprimersi come e quanto meglio creda. Esiste questa opzione, certo che esiste, ma è l’extrema ratio (non sempre applicabile) nella gestione della classe; è, per certi versi, un fallimento didattico, una resa davanti all’incontrollabilità di qualche personaggio difficile. Prima di arrivarvi le strade da percorre sono tante, e devono tutte mirare all’inclusione del nostro studente fuori dagli schemi all’interno dei ranghi della governabilità. Insegneremo a gestire il turno di parola, medieremo con cautela i tempi di conversazione, placheremo con i più svariati espedienti didattici la pletora di domande dalle quali saremo subissati. Non che sia facile, certo, però la gestione di studenti più faticosi è sempre un ottimo banco di prova: se riusciamo in questo, potremo dire di essere dei validi insegnanti.
Qual è la forza del gruppo? Il gruppo stesso. Tautologie a parte, quando lavoriamo con un gruppo dobbiamo sempre tenere a mente che la classe arriva prima di noi lì dove noi nemmeno ci aspettiamo. In altre parole: si creano dei meccanismi di collaborazione attiva tra studenti che conoscono l’italiano tra loro allo stesso livello e che operano e agiscono nella stessa direzione e con lo stesso obiettivo. Far lavorare gli studenti tra loro (in coppie, in piccoli gruppi, in plenum) non è solo un modo per passare il tempo o per un riuso qualsiasi che vogliamo somministrare. Il lavoro di gruppo è anzi una forza nuova, non banalmente la somma delle singole potenzialità degli studenti, ma un’entità a sé stante in grado di disfare, ricucire e ricreare con molta più efficacia e precisione di quanto noi non ci aspettiamo.
Non sfruttare questa forza è come avere un’orchestra a disposizione e far suonare ogni strumento per conto suo: un lusso stonato che proprio non possiamo permetterci.