“Sono otto studenti. Principianti assoluti. Inizi domani”.
Ed eccola, aspettata, temuta, sospirata, la telefonata del direttore didattico è arrivata. Speravi timidamente in un bel C1, saresti stato felice per un corso di conversazione, avresti esultato per un individuale di italiano per gli affari, e invece no, ecco i principianti.
Otto nuovi (nuovissimi!) alunni dei quali, se sei fortunato, conosci i nomi e le età. Se sei fortunatissimo sai anche le loro nazionalità, sai se parlano altre lingue straniere, se hanno un buon livello di scolarizzazione. Se non sei né fortunato né fortunatissimo, non sai niente: sai solo che alle 9.30 di domani otto sconosciuti ti aspettano in Aula Napoli per un corso di due ore. E non c’è esperienza che tenga: coi principianti assoluti le gambe tremano sempre.
L’imprinting
Lo sappiamo tutti: i primi minuti sono fondamentali. Loro si faranno un’idea di noi, di come lavoriamo, di cosa siamo in grado di portare in classe. Loro, i nostri otto nuovi studenti, capiscono al volo che cosa abbiamo da dire, se sappiamo usare una lavagna, se in aula ci muoviamo come criceti impazziti o lupi in gabbia. Già, perché un elemento che si tende a sottovalutare è che non abbiamo a che fare con una massa di dementi. Anzi: abbiamo davanti a noi persone motivate, colte, intelligenti, le quali decidono di investire tempo e risorse in un’attività che richiede un discreto impegno. Prima regola: davanti a me ho otto adulti. Donne e uomini magari più grandi di me, che non posso trattare come cretini, che devo ascoltare nei loro bisogni, nelle loro necessità, che non devo considerare dei bambinetti. Sono adulti, che non signigica che non debbano aver voglia di giocare, non parlano la mia lingua ma sono adulti. E se tratto un adulto come un ragazzino, non posso aspettarmi di ottenere la sua fiducia, non posso sperare che lui voglia affidarsi a me per imparare la mia lingua.
Le tre P
Pallina, pennarelli, preparazione. Pare poco, ma è tutto. La pallina fa tanto corso di inglese anni ’80? Poco importa, è una trovata geniale. Do il turno di parola, lo riprendo quando e come voglio. Chiarisce subito che l’apprendimento è un gioco di squadra: da soli, con una pallina in mano, si fa ben poco. Diventa immediatamente simbolo della nostra azione comunicativa, che passa di mano in mano, che viene nascosta quando è il momento di ascoltare, che ogni tanto cade. E come la pallina, imprescindibile strumento nel corredo di ogni insegnante sono i pennarelli: coi principianti i colori sono miracolosi, dicono molto di più di quanto non facciano tabelle, tabelline e nomenclature da grammatica latina che noi diamo per scontato che gli alunni conoscano. Con un solo pennarello nero posso fare ben poco. Con 4/5 colori creo da subito un sistema cromatico di riferimento che fungerà da salvagente nella tempesta della comunicazione. E prima di tutto? Preparare, preparare, preparare. Come se fosse la prima volta che entriamo in aula, come se non sapessimo fare il nostro mestiere. Immaginare con precisione cosa faremo in classe, quanto tempo impiegheremo e come andranno gli esercizi. Supporre un piano B che ci salvi se un imprevisto dell’ultimo momento dovesse frapporsi tra noi e la classe. Arrivare con tutto il materiale che ci serve, senza abbandonare la classe nemmeno per mezza pagina da fotocopiare.
Un po’ di silenzio!
Lo sappiamo tutti: il silenzio può far paura. Una classe che non parla ci sembra una classe che non ha niente da dire, che brancola nel buio e non impara. E quindi quel silenzio lo riempiamo noi, straparlando anche a chi non può capire. E ripetiamo mille volte la stessa cosa, e nemmeno lasciamo il tempo di far cadere le nostre parole: non consentiamo ai nostri studenti di comprendere che una frase è terminata, di metabolizzare quelle sillabe che aleggiano a mezz’aria. Il silenzio delle labbra è spesso sintomo di mille parole in testa, di un lavorio incessante che non fa rumore, ma che srotola, taglia, ricuce ciò che le orecchie hanno appena sentito. Non dobbiamo interrompere quel silenzio. Non dobbiamo averne paura, anzi. Ricordiamoci sempre di stare un po’ zitti, di non ubriacare di chiacchiere i nostri otto malcapitati principianti. Mica vorremo farli uscire dalla loro prima lezione di italiano col mal di testa!
Non dire “no”
Nella prima lezione, tutto fa brodo. Non c’è niente di sbagliato, non c’è niente da correggere. Lo studente ripete male “Buongiorno!”? Mai mi esca dalla bocca un “no!” per correggerlo. Ripeterò il saluto nella forma corretta, ma per niente al mondo dovrò interrompere il suo primo, timido approccio comunicativo. Ci sarà modo di fargli capire che ha usato una forma inadatta, o che “non si dice così”, ma quel momento di sicuro non è durante la prima lezione di italiano della loro vita. Anzi: non si pensi di lesinare in complimenti, in incoraggiamenti e in pacche sulle spalle. Imparare una nuova lingua è una corsa a ostacoli, e noi dobbiamo aiutare gli studenti a superare tutti gli intralci che si troveranno davanti. Se diventiamo un ostacolo anche noi, c’è qualcosa che non va.
Io sono i miei studenti
Questa riflessione non può concludersi senza un piccolo focus su di loro, sui miei otto amati (anche se temuti) studenti del corso A1. Più cose so su di loro, meglio riesco a organizzare la mia lezione, migliore sarà per loro la prima esperienza con l’italiano. Quanti anni hanno? Da dove vengono? Perché studiano l’italiano? Un ventenne spagnolo in Erasmus e una signora tedesca in pensione non imparano allo stesso modo. Un manager che vivrà in Italia due anni e un migrante appena arrivato dopo tragiche vicissitudini non hanno la stessa motivazione. Spesso ci troviamo in classi con esigenze comunicative molto disomogenee, altrettanto spesso queste esigenze sono delle emergenze comunicative vere e proprie. Talvolta dobbiamo rivedere tutto il nostro programma perché rischiamo frizioni culturali, ogni tanto possiamo addirittura mettere in difficoltà alunni che provengono da realtà sociali diverse e lontane dalla nostra e che timidamente con la conquista dell’italiano sperano di ottenere qui un piccolo posto nel mondo. Tutto ciò abbiamo il dovere di ricordarlo. Anzi: sarebbe molto utile saperlo prima, dare un’occhiata alle loro schede di iscrizione a scuola, magari inviare loro prima della lezione un breve questionario (ovviamente non in italiano…) che ci dica qualcosa in più su di loro, che ci consenta di entrare in classe un po’ meno spaesati.
“Sono otto studenti. Principianti assoluti. Inizi domani”.
Pronti? Via. Le regole del gioco adesso le conoscete. E ricordate: insegnare è un gioco bellissimo. E noi giochiamo in casa, perché insegniamo la nostra lingua.
(Fuori dal gioco: nella tua città esistono corsi di ebraico, di giapponese, di portoghese o di russo? Bene, fatti un piccolo regalo e chiedi di poter partecipare anche solo alla prima lezione per principianti assoluti di una lingua che non conosci affatto. Memorizza le tue sensazioni e ripensa a come sei tu in classe. Poi ne riparliamo.)