Premessa: non saranno queste nostre regole a fare di te un buon insegnante. Dieci suggerimenti non possono sostituire la preparazione, il carisma, lo studio e l’esperienza di chi da anni si cimenta con la teoria e la pratica quotidiana dell’insegnamento dell’italiano L2/LS. Prendi questi consigli come un vademecum da tenere a mente ogni volta che entri in aula, come un piccolo spunto di riflessione che ti aiuti soprattutto se stai muovendo i primi passi nel meraviglioso mondo dell’insegnamento.
1. Lo studente al centro. Sembra banale ricordarlo, ma è da qui che bisogna partire: al centro c’è lo studente. Non la nostra formazione, non la lezione che abbiamo faticosamente preparato (e che tanto ci piacerebbe fare), ma solo e soltanto lo studente che abbiamo davanti. Coi suoi ritmi, coi suoi bisogni di apprendimento, con la sua voglia di imparare. Ovviamente è l’insegnante che deve guidare il discente nel suo percorso di acquisizione linguistica, ma a condurre il docente e il suo operato deve sempre essere chi impara, chi apprende. Questo assunto comporta la necessità, spesso molto faticosa, di fare un passo indietro: è più importante cosa piace alla mia classe, cosa vuole la mia classe, rispetto a ciò che piace a me. Una buona idea è tale solo se è davvero buona per i miei studenti: io vengo dopo.
2. Senza un programma non si va lontano. Avere uno schema di riferimento è fondamentale: che si tratti di un programma, di un sillabo, di un curriculo, senza uno schema non si raggiunge nessun obiettivo. Dev’essere molto chiaro ben prima di entrare in aula cosa stiamo per fare, perché operiamo in quel modo, qual è l’obiettivo che vogliamo raggiungere, quale i mezzi e quali i tempi a nostra disposizione. E questo vale tanto nell’organizzazione e nella costruzione di un intero corso, quanto nella gestione di una sola lezione o, ancora più microscopicamente, di una singola attività. L’esperienza ci dice che il programma può essere rivisto in corso d’opera, che tante e tante volte torneremo sui nostri passi, ma entrare in classe senza uno scopo ben preciso è quasi sempre un grande errore.
3. Lezioni nel mondo. Don Lorenzo Milani compiangeva quello studente che “sapeva solo chiedere gufi, ciottoli e ventagli sia al plurale che al singolare”, cioè che aveva dimestichezza con vocaboli difficili o irregolari, nel caso di specie della lingua francese, “scelti col metodo di essere eccezioni, non d’essere frequenti”. Non si può non essere d’accordo: quello che si fa in classe dev’essere utile fuori dalla classe. E non solo per capire un meccanismo linguistico, per conoscere una regola grammaticale e saperla applicare in un esercizio di analisi del testo, ma soprattutto per far sì che i nostri studenti siano sempre in grado di comunicare. Il nostro faro dev’essere proprio la reale esigenza (spesso emergenza) comunicativa di chi si affida a noi per imparare la nostra lingua.
4. Ascolta. “La ragione per cui abbiamo due orecchie ed una sola bocca è che dobbiamo ascoltare di più, parlare di meno”: lo dice Zenone di Cizio, filosofo greco fondatore della scuola stoica. Come dargli torto? È una regola difficile, ma è fondamentale: dobbiamo dimenticare i nostri insegnanti di scuola, che ci facevano parlare solo quando ci interrogavano per coglierci impreparati. Noi abbiamo il compito di fare il contrario: far parlare i nostri studenti molto più di quanto parliamo noi. Più ascolto, più capisco dove sta andando la classe: se parlo solo io, ubriaco i miei studenti di stimoli e di nozioni e castro la loro voglia di mettersi in gioco, facendo impennare quel temibile filtro affettivo che invece è fondamentale riuscire ad abbattere. Non è mai un buon segno se finiamo una lezione senza voce: spesso vuol dire che abbiamo parlato troppo.
5. L’importanza dell’insuccesso. Uno studente che non sbaglia è uno studente che non impara. E che non fa imparare noi. L’insuccesso linguistico è, per ogni insegnante che si rispetti, una fonte inesauribile di stimoli: ci dice dove abbiamo colpito nel segno, dove dobbiamo ancora migliorare. Ci porta a riflettere sul percorso fatto dal nostro studente, su quanto c’è ancora da fare. Ci racconta molto sulle modalità di apprendimento dei nostri alunni e ci illumina tanto anche sulle nostre scelte didattiche, mettendoci davanti a domande alle quali spesso ci costa fatica rispondere: come mai tutta la classe fa lo stesso errore? Perché questo argomento proprio non lo capiscono? Qual è la ragione per la quale si sta cristallizzando un qualche problema? Un insuccesso didattico è sempre una cartina di tornasole sul nostro operato: coglierlo è quanto mai vitale e formativo per riuscire a essere in classe con consapevolezza e serietà.
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