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Perché un metodo di insegnamento funziona con certi studenti e come fare con gli altri

Dicembre 16, 2019 by itxstra

di Barbara Bassi

Quando si insegna bisogna affrontare diverse difficoltà. Prima di tutto, non serve solamente la conoscenza data dagli anni passati a studiare teorie di apprendimento e metodi di insegnamento (oltre ai contenuti specifici della materia che si vuole insegnare), ma bisogna anche acquisire una certa esperienza. Con il tempo, si sperimenterà la diversità di insegnare in aula rispetto che online, così come le differenze tra fare lezione a un adulto o a un bambino. Nonostante queste basilari considerazioni, può succedere che alla fine di una lezione ben riuscita – così come di una fallimentare – ci si domandi PERCHÉ? Perché un metodo di insegnamento funziona solo con certi studenti? Ma soprattutto, come fare con gli altri? Proviamo insieme a sviscerare il problema con calma.

Diversi background culturali, attitudini e tipi di intelligenza

Ci sono tante variabili in gioco quando si parla di apprendimento. Prima di tutto c’è il cosiddetto background culturale, ovvero quei preconcetti legati all’idea di lezione che provengono dalle abitudini degli studenti sperimentate nel proprio Paese d’origine e a loro volta legate a certi valori e consuetudini. Poi, entrano in gioco le attitudini, ovvero quelle innate disposizioni per una certa attività. C’è chi predilige i lavori manuali, chi ama analizzare la lingua dal punto di vista grammaticale perché ha una mente matematica, chi ama la lettura dei giornali e la discussione su temi di attualità non badando troppo agli errori di sintassi. Infine, ci sono i diversi tipi di intelligenza. Citando Paolo E. Balboni nel libro “Le sfide di Babele”, queste ultime sono basate sulla dominanza emisferica cerebrale, cioè la caratteristica propria di ogni persona di affidarsi preferibilmente alle modalità «destre» o «sinistre» del cervello. È a questo principio che fa riferimento Gardner, lo psicologo di Harvard che individua diverse tipologie di intelligenza presenti in ogni persona ma in combinazioni e con dominanze diverse, che possono dipendere dalla persona stessa, dall’ambiente e dalla cultura di appartenenza.

Qual è il miglior metodo di insegnamento di una lingua straniera?

Bella domanda. Come avrete intuito, non esiste un’unica risposta; tuttavia si potrebbe riassumere la questione con una sola parola: flessibilità. È infatti necessario un alto livello di flessibilità quando si insegna una lingua che, per lo studente, è straniera. L’insegnante, infatti, non deve solo preoccuparsi che ciò che vuole trasmettere all’alunno sia utile e interessante, ma deve anche avere cura del fatto che tale contenuto non venga frainteso per via di barriere linguistico-culturali. L’insegnante, insomma, deve mettersi nella condizione di essere ricettivo/a al 100%, attivando tutti i suoi sensi e ascoltando la sua intelligenza emotiva. Come in tutte le relazioni, infatti, le “giornate no” sono sempre dietro l’angolo, la motivazione potrebbe essere scarsa e il programma pensato per quella lezione potrebbe non rivelarsi così adatto come si pensava inizialmente. La capacità di improvvisare è quindi una dote che non dovrebbe mai mancare a un bravo insegnante di italiano per stranieri. Al contempo, la sua lezione non potrà mai basarsi unicamente sulle circostanze del momento: è fondamentale che vi sia un piano preciso, strutturato sulla base di obiettivi condivisi. Tale piano non può essere uguale per tutti gli studenti e ora vi farò due esempi tratti dalla mia esperienza per farvi capire meglio.

Il primo riguarda E., una studentessa australiana con cui mi sono incontrata ogni settimana per 30 minuti via Skype nell’arco di quasi un intero anno. Il suo obiettivo era quello di prepararsi per un viaggio in Italia con tutta la famiglia, quindi durante le nostre lezioni abbiamo non solo conversato per migliorare le sue capacità di ascolto e comunicative, ma spesso ci siamo concentrate sulla lettura del sito web di un museo che era interessata a visitare, su quello di Trenitalia per esplorare le diverse tipologie di biglietti e affrontare il lessico del viaggio in treno, infine abbiamo simulato una conversazione tra lei e la zia (da cui sarebbe stata ospite per un periodo) riguardo a come caricare la lavatrice per fare il bucato.

Il secondo caso è quello di F., la dipendente di un’azienda presso la quale mi reco due mattine a settimana per insegnarle italiano. F. è americana e ha vissuto per molti anni in Perù; questo significa che la sua lingua materna è l’inglese, di cui ha studiato la grammatica. Al contempo F. parla spagnolo correttamente e fluentemente, pur non conoscendone le regole. Tutto questo, però, l’ho scoperto strada facendo e inizialmente il mio approccio con lei è stato tradizionale: sono partita con spiegazioni su articoli determinativi e indeterminativi, sul genere del nome e così via. Mi sono basata sulla mia conoscenza dello spagnolo, la cui grammatica è molto simile a quella italiana, facendo parallelismi che la potessero aiutare (a mio parere). Niente di più sbagliato. Questo metodo con lei non funzionava, perché la sua esperienza di apprendimento di una lingua straniera (lo spagnolo) era stata immersiva, d’impatto e situazionale. Inutile dire che, cambiando metodo, le cose sono decisamente migliorate per entrambe.

Cambiare metodo di insegnamento rispetto allo studente che ci si trova di fronte, oltre a modificare in itinere il programma pensato per la lezione nel caso in cui le circostanze lo richiedano, non è cosa facile. Sì, perché il vero problema non consiste tanto nel riconoscere che una certa persona sia più propensa ad apprendere attraverso un metodo rispetto a un altro, quanto essere in grado di cambiare il proprio metodo di insegnamento. Ebbene sì, anche noi insegnanti abbiamo la nostra comfort zone e inoltrarci al di fuori di essa potrebbe comportare dei rischi, primo tra tutti l’inefficacia della lezione. Come fare quindi con tutti quegli studenti che ci dicono, esplicitamente o implicitamente, che il nostro modo di lavorare con loro non funziona? Con un atto di coraggio. Si prova, si sbaglia, si migliora, si impara, si raggiungono gli obiettivi. Questo, a mio parere, è il male minore rispetto alle conseguenze della cecità di chi persevera con un metodo che non porterà a nulla di buono per quel particolare studente e in quella particolare situazione. E voi, cosa ne pensate?

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Rapporto insegnante alunno a lungo termine: il confine sottile tra professionalità e amicizia

Dicembre 9, 2019 by itxstra

di Barbara Bassi

Da quando lavoro come insegnante di italiano a stranieri, spesso ho avuto modo di riflettere su quella che dovrebbe essere la migliore relazione tra insegnante e studente. Sì, perché – volente o nolente – questa è una professione in cui l’aspetto relazionale è fondamentale. In questa sede sono già state affrontate interessanti situazioni come quella in cui l’insegnante è giovane e l’alunno è adulto, ma qui mi piacerebbe sapere più in generale cosa ne pensate del rapporto docente-studente. Per voi quando è lecito che si trasformi in amicizia e quando invece è meglio che rimanga confinato alla sfera professionale? Ragioniamoci un po’ insieme.

Il ruolo dell’insegnante nella relazione con lo studente

Quando si comincia un corso, come per esempio lezioni di italiano online, il ruolo dell’insegnante è fondamentale. La maggior parte delle volte, infatti, lo studente si iscrive al corso per curiosità e non ha idea di cosa aspettarsi (spesso ha anche un po’ di timore, quello positivo che prova chi si mette in gioco). Nella prima lezione, che sia di prova o già acquistata, il docente si gioca il tutto per tutto. Quell’ora o quei 30 minuti determineranno infatti non solo la scelta dello studente di proseguire o meno le lezioni con lui/lei, ma anche la facilità di gestire gli incontri futuri. Come avviene in un qualsiasi contratto o patto, infatti, i termini del rapporto tra le parti devono essere chiari fin da subito. Alla fine della lezione, oltre ad aver appreso qualcosa di nuovo sulla lingua italiana (si spera!), lo studente deve aver capito qual è lo spazio entro il quale può svilupparsi il suo rapporto con l’insegnante. Può fargli domande personali? Lo può contattare via email per chiedere dei compiti extra? Può raccontarsi in modo libero senza aver paura di essere giudicato? Può chiedergli dei consigli? Non esiste un’unica soluzione per queste domande, esistono risposte in grado di costruire un rapporto insegnante-alunno ottimale.

La libertà nel rapporto docente studente

Date le considerazioni appena espresse, bisogna fare una precisazione. Occorre cioè distinguere il caso della relazione docente-studente obbligatoria – quella che avviene durante gli anni della cosiddetta scuola dell’obbligo – dal rapporto tra insegnante e alunno che si verifica per un atto volontario, ovvero è lo studente che sceglie di iscriversi a un corso privato per sua spontanea volontà. In quest’ultimo caso, le carte in tavola cambiano e – pur trattandosi di un rapporto basato su uno scambio economico – la libertà è una componente intrinseca a tale evento. Da un lato, infatti, l’insegnante non deve seguire un programma indicato dal Ministero dell’Istruzione, dall’altro lo studente non è obbligato a fare i compiti o a prepararsi per una verifica o un test imprescindibili. Un buon insegnante, inoltre, è in grado di modificare il corso in itinere, mano a mano che si accorge dei progressi dello studente o di sue eventuali lacune. Gli argomenti trattati, poi, possono cambiare in base agli interessi dell’alunno, come il caso dello studente straniero che sta programmando un viaggio in Italia e si sente di chiedere suggerimenti al suo insegnante online. Tutto questo rientra nei compiti di quest’ultimo? Se l’impostazione data si incentra sulla parte linguistico-culturale, perché no. Se poi entrambi convengono che sarebbe bello prendersi un caffè seduti allo stesso tavolino del bar dopo mesi passati a vedersi solo attraverso uno schermo… Cosa c’è di male?

I rischi nel rapporto di amicizia tra docente e discente

Nella relazione con uno studente, ci sono in realtà tanti rischi che un insegnante dovrebbe considerare. Proprio a causa della natura più libera di una lezione privata, ogni studente potrebbe intendere quest’ultima in modo diverso. Il caso più problematico avviene quando l’alunno non percepisce l’autorevolezza dell’insegnante, compromettendone il lavoro in termini di efficacia. Detto con altre parole, il docente deve stare attento a mantenere il suo ruolo di guida, tenendo la rotta pianificata o portando la lezione in una direzione che reputa più consona per le esigenze del momento. Questo non è compito dello studente, che tutt’al più può decidere l’argomento dell’incontro, ma non il modo in cui svolgerlo. L’inevitabile conseguenza di questo tipo di deriva è un fallimento della lezione in termini formativi. Lo stesso effetto potrebbe essere provocato da uno squilibrio nella relazione tra docente e discente, che pesa maggiormente sul lato dell’amicizia. Se infatti la lezione diventa una chiacchierata tra i due e il cosiddetto teacher talking time viene impiegato per raccontare le proprie vicende personali senza alcun fine educativo, lo scopo primario dell’incontro viene meno, lo scambio diventa paritario e si perde la ragione di un compenso economico.

Come avrete intuito, ho affrontato la questione dando per scontato che il rapporto insegnante alunno sia di lungo termine. Se così non fosse, non avrebbe senso fare certi ragionamenti perché l’amicizia – quella degna di chiamarsi tale – ha il tempo come migliore alleato. Dopotutto, le amicizie che nascono sul lavoro sono sempre esistite, così come le cene aziendali e – oggi in particolar modo – gli eventi di team building. Forse quindi la vera questione non riguarda tanto il confine tra professionalità e amicizia, ma si trasforma in una domanda più interessante: si può essere professionali anche con gli amici? A voi la parola.

Ulteriori articoli sull’insegnamento dell’italiano agli stranieri

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Gli stereotipi sugli italiani a lezione

Agosto 28, 2019 by itxstra

L’idea che si ha all’estero degli italiani è senza dubbio tra le più caricaturali. Per gli studenti stranieri che imparano la lingua italiana è dunque senz’altro interessante saperne di più circa tale immagine stereotipata. Sicuramente catturerete la loro attenzione approfondendo quali punti sono veri e quali sono frutto della fantasia o di alterazioni della realtà.

Ecco alcuni spunti che potete trattare a lezione dopo una piccola ricerca su internet (o ricorrendo alle vostre conoscenze personali):

1-La Mafia.

L’immagine del Padrino, che si associa immediatamente al termine “Mafia” ha poco a che fare con le realtà mafiose presenti ad oggi nella penisola. Si può descriverle brevemente (Camorra, ‘Ndrangheta, Sacra Corona Unita) associandole al loro luogo d’origine, proporre la storia di Falcone e Borsellino, parlare di Saviano e consigliare la serie Gomorra oltre ai film Gomorra e Suburra (quest’ultimo, meno famoso, sulla  relazione tra mafia e politica è ambientato a Roma);

2- La pizza.

Un percorso interessante consiste nel raccontarne le origini e la storia degli ingredienti e del nome (il lievito egizio, il pomodoro delle Americhe, la pitta greca, il mito del nome ‘Margherita’ associato alla regina…);

3- Il gesticolare.

Lo stereotipo qui ha un fondamento reale, ma è portato agli estremi dagli italoamericani che spesso, senza curarsi del significato reale dei gesti, li usano esageratamente per enfatizzare la propria ‘italianità’. Si possono invece spiegare i gesti più utilizzati nella loro forma abituale;

4- La parlata alla ‘SuperMario’.

Anche in questo caso si tratta della parlata degli italoamericani di seconda o terza generazione. Una lezione sull’emigrazione italiana negli Stati Uniti è cruciale per comprendere la differenza tra l’italoamericano e l’italiano che vive ad oggi in Italia. Con le classi più avanzate sarebbe interessante instaurare un parallelismo con il fenomeno migratorio odierno dall’Africa in Italia;

5- Lo stile nel vestire e il latin lover.

Per dimenticare il tipico bellimbusto è sufficiente parlare della multietnicità e della globalizzazione. Chi sono gli italiani di oggi? Si può approfittare anche per trattare la storia dei primi sarti italiani e delle loro capacità imprenditoriali, dei prodotti tessili storicamente conosciuti all’estero e, perché no, del Made in Italy famoso nel mondo.

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Come aiutare l’alunno a pensare invece di memorizzare?

Agosto 21, 2019 by itxstra

Come aiutare l’alunno a pensare invece di memorizzare?

Per apprendere una lingua è necessario uno sforzo mnemonico, per crearsi un bagaglio di termini, declinazioni e costruzioni che funzionino come base per organizzare le successive acquisizioni.
Tuttavia la memoria va agevolata e potenziata con alcuni trucchi, e supportata con la comprensione. Ecco, di seguito, alcuni elementi che facilitano la memorizzazione e che l’insegnante di italiano può impiegare durante le lezioni:

1.
Le traduzioni “maccheroniche”.
Quando la struttura richiesta dai termini (soprattutto nel caso dei verbi o di formule fisse) è peculiare e differente da quella utilizzata nella lingua madre dagli studenti, le traduzioni maccheroniche sono un ottimo alleato. Esse permettono allo studente di capire come un italiano penserebbe quel verbo o costrutto.
Al principio gli/le suonerà strano ed artificioso ma questo, dal punto di vista della memoria, è solo un vantaggio! Masticherà un poco la formula che gli avete proposto proprio perché risulta stridente. Insistete sull’espressione in questione proponendogli/le subito alcune frasi in cui questa compaia. Così ne accelererete il processo di assimilazione;

2.
I costrutti equivalenti.
La situazione agli antipodi, rispetto a quella appena trattata, è quella in cui in inglese (o nella lingua madre dell’alunno) la struttura in questione ha un corrispettivo esatto. Anche in questo caso sottolineate abbondantemente l’affinità tra le due espressioni, così l’alunno ricorderà di dover semplicemente ricorrere a una traduzione letterale e aggiungerà da subito l’espressione appena imparata a quelle che usa con disinvoltura.

3.
L’etimologia delle parole.
Quando l’insegnante ha una buona conoscenza del latino e del greco antico può senz’altro impiegarla. Va tenuto presente, però, che l’obiettivo è quello di alleggerire lo studente e non di caricarlo ulteriormente con informazioni superflue. Bisogna pertanto limitarsi a dare un appiglio utile alla memoria ed evitare riferimenti eccessivamente complessi.
Facciamo un esempio efficace.
Come memorizzare il termine “cattivo”?
“Cattivo” deriva da captivus, ovvero prigioniero, da cui anche l’inglese captivity.
Questo tipo di spiegazione agevola la memoria poiché ha un riferimento noto nella lingua inglese e coinvolge una specie di “storia” o inferenza che è la seguente: il termine è passato dal designare chi sta dietro le sbarre, perché prigioniero di guerra o incarcerato, a indicare tutti coloro che sono malvagi.

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Insegnante giovane e alunno adulto. Lezioni individuali

Agosto 14, 2019 by itxstra

Un paio di anni fa i miei professori dell’università avevano l’età che, oggi, hanno molti dei miei alunni.

Confesso che ogni tanto ho pensato di mettere un paio d’occhiali. E non perché mi manchino diottrie: ci vedo benissimo! Ma, piuttosto, per dimostrare qualche anno in più davanti ai miei alunni over quaranta.
In realtà ho capito ben presto che la credibilità non si basa sull’età anagrafica bensì sul modo in cui si impostano le lezioni.

E inoltre il madre lingua, per giovane che sia, è come un “adulto nella propria lingua”, mentre il discente è nella tappa dell’infanzia o prima adolescenza per ciò che riguarda il nuovo idioma, pur essendo adulto in un senso assoluto.

Vista in questo modo, non viene invertita la legge naturale secondo cui i più anziani insegnano ai più giovani.

Alcuni consigli…

1) L’importanza dei primi passi. Perché non dedicare la prima lezione all’alunno, a conoscere l’individuo e i suoi obiettivi linguistici? Rispetto alle lezioni con bambini e adolescenti, in cui ascoltare e conoscere servono all’insegnante per tracciare il cammino, nel caso di un adulto, una modalità più collaborativa, dialogata e disposta a concordare il percorso didattico, dà una migliore sensazione all’alunno.

2) Aut aut. A questo proposito, un modo efficace per mantenere il controllo della situazione e lasciare discreta libertà allo studente, è quello di proporre due (o tre) opzioni. Così potrà scegliere senza perdersi nei meandri dello scibile umano e senza sentirsi abbandonato a se stesso.

3) Sempre sul pezzo. Essere preparati è fondamentale. La lezione approssimativa darà l’impressione del professore sbarbatello tentennante e alle prime armi.

4) Gli errori. Vanno sottolineati con coerenza, pena la perdita di credibilità. Ciò significa che, nell’ambito di un medesimo arco di tempo, se si decide di far notare all’alunno un certo errore, bisogna farglielo notare sempre. È importante presentare l’errore in modo simpatico e disinvolto soprattutto quando è assai frequente.

5) Occhio ai complimenti. L’eccesso d’enfasi può risultare fastidioso, e l’alunno sentirsi trattato in modo infantile. È opportuno complimentarsi mostrando sincero stupore. O, per meglio dire, è bene complimentarsi quando si è sinceramente rallegrati, soddisfatti e colpiti dai risultati del discente.

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Musica per insegnare italiano: canzoni a lezione di italiano

Agosto 7, 2019 by itxstra

Nel precedente articolo si è parlato di come integrare la musica nelle lezioni di italiano. Ora si tratterà, più nello specifico, di come strutturare una lezione che ruoti attorno a una canzone, sia quando si ha a che fare con un solo alunno, che quando si lavora con un gruppo classe.

1)
Lezione individuale

A) Ascolto della parte selezionata per intero;
B) Comprensione durante il secondo ascolto. Premete il tasto pausa così l’alunno potrà ripetere ad alta voce la frase appena ascoltata, e abbozzarne una prima traduzione/spiegazione;
C) Analisi e spiegazione dell’insegnante durante il terzo ascolto;
D) Riempimento di spazi in un testo incompleto che offrirete all’alunno. Quanto più la canzone è lenta, l’analisi del punto (C) è stata approfondita e l’alunno è avanzato, tanto più ampi saranno gli spazi;
D) Karaoke;
E) Chiedete di inventare alcune frasi utilizzando SOLO le parole ascoltate nella canzone. Lasciate allo studente la possibilità di sbirciare il testo!

2)
Attività con una classe

A) Ascolto della parte selezionata;
B) Divisione della classe in squadre di 5/6 individui. Durante il secondo ascolto ciascun membro della squadra scrive il testo per conto proprio. Alla fine, la squadra si riunisce ed elegge un caposquadra, che scrive la canzone per intero. I testi vengono corretti dall’insegnante. Ogni parola errata equivale a -1 punto, ogni errore di grammatica a -0,5.
C) Ciascuna squadra sceglie un proprio membro che canterà la canzone.
I capisquadra devono ora stabilire chi fra i concorrenti ha cantato meglio. Questi otterrà 3 punti per la propria squadra
D) Ora ciascun gruppo elegge un nuovo caposquadra, che deve scrivere il maggior numero di frasi usando solo le parole del testo (lasciatene una copia a ciascuna squadra). Avranno a disposizione 5/7 minuti che l’insegnante cronometrerà. Gli altri membri possono suggerire ma non scrivere. Si calcolano nel punteggio esclusivamente le frasi corrette (+3 punti).

Buon ascolto e buon divertimento!

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Musica per insegnare italiano: quando, quanto, come, con chi

Luglio 31, 2019 by itxstra

Una delle tecniche fondamentali per imparare una nuova lingua è ripetere, ripetere e ripetere… Lavoro che, assai sovente, risulta noioso per lo studente e per l’insegnante. Per fortuna ci sono le canzoni! Esse ci permettono di introdurre qualcosa di ripetitivo ma non tedioso.
Non sempre, tuttavia, la musica è adeguata. Ecco, allora, qualche consiglio.

1) Con quali studenti ricorrere alla musica?

Senz’altro, con coloro che si dimostrano interessati.
L’esercizio dell’ascoltare e decifrare canzoni è prescindibile. Pertanto, se non solletica l’attenzione dello studente, può essere sostituito dalla visione di video, brevi documentari o corti più adatti per lui.
Va da sé che il livello dei testi debba essere adeguato al livello dello studente, così come il genere musicale. Per quel che riguarda quest’ultimo punto, l’età anagrafica gioca un ruolo cruciale.

2) In che misura usarla?

L’analisi di una canzone non deve diventare il sostituto abituale della lezione. A volte è difficile limitare i tempi di ascolto, specialmente se agli alunni piace questa parte del corso. È consigliabile tuttavia concederle al massimo l’8/10% del tempo a disposizione.

3) Quando e come usarla?

È efficace inserire una lezione musicale per introdurre un argomento, per concluderlo o come intervallo durante la spiegazione.
La strategia migliore è quella di dedicare una lezione unicamente alla canzone in modo da non essere dispersivi. In molti casi è preferibile selezionarne una sola strofa e il ritornello (o quella porzione che contiene il maggior numero di termini interessanti). Insomma: less is more, se l’obiettivo è che gli alunni assimilino nuove espressioni.

4) In che contesto impiegarla?

La musica è uno strumento che si adatta tanto alle lezioni individuali, quanto alle classi. Gli esercizi che si possono svolgere nell’uno e nell’altro caso sono differenti (vedi il prossimo articolo).

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Usare i proverbi per insegnare italiano

Luglio 10, 2019 by itxstra

I proverbi sono un grande alleato quando si insegna italiano agli stranieri.

In primo luogo perché la nostra lingua vanta un repertorio pressoché sconfinato di proverbi e, dunque, pescando in questo mare di saggezza popolare, non resteremo mai a corto di vocaboli, usi insoliti di verbi, preposizioni, formule comparative, eccetera.

In secondo luogo perché ci consentono di mettere direttamente in contatto l’alunno con il cuore della tradizione italiana. La quasi totalità di coloro che imparano la nostra lingua è interessata a toccare con mano ciò che sta oltre le regole di grammatica, la pronuncia corretta e la sintassi impeccabile (quando così non fosse, è compito del buon insegnante far nascere questo tipo di interesse!).

Inoltre, le massime e modi di dire a cui dà vita la saggezza popolare sono un prodotto proprio di qualsiasi cultura umana. Pertanto costituiscono immediatamente un ponte tra realtà più o meno distanti. Si può affermare, in effetti, che le lezioni in cui si parla di proverbi sono tra quelle in cui l’identità culturale dell’alunno è maggiormente coinvolta.

Si istituisce una relazione bidirezionale docente-discente in cui ciascuno apporta elementi che arricchiscono l’altro.

Durante una lezione in cui si fa riferimento alle massime popolari, l’alunno individuerà sicuramente, per un certo numero di proverbi italiani, una traduzione più o meno letterale, nella propria lingua.
Le immagini mentali bizzarre, comuni, ridicole, realistiche o surreali, associate abitualmente al significato letterale del proverbio, sono come quadri che saltano in mente.
Il loro potere aiuta a fissare, assieme alle rime, presenti in molti proverbi, termini e strutture nella mente di chi apprende.

È conveniente introdurre un proverbio di tanto in tanto come esempio per una spiegazione.
Quando si presenta un proverbio nuovo è utile lasciare qualche minuto all’alunno perché possa “masticarlo e assimilarlo”, insomma: familiarizzare con esso.
Conviene lasciargli il tempo necessario perché provi a tradurlo letteralmente e, poi, a indovinarne il significato.

Da evitare una carrellata di proverbi, specialmente se affini nel loro significato, poiché creano solo confusione e non si dà all’alunno il tempo di assimilarli… Chi troppo vuole nulla stringe!

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Attività per l’alunno principiante: ricette in cucina

Giugno 27, 2019 by itxstra

Un elaborato scritto che non si riduca a semplici frasi ed elementari descrizioni di amici, case o animali da compagnia, sembra un prodotto lontano anni luce, quando gli alunni sono agli inizi. Già solo da leggere, figuriamoci da scrivere!

Eppure, proporre all’alunno di produrre un testo completo, efficace e (almeno in linea teorica) pubblicabile ne mantiene viva la motivazione… Come fare perché raggiunga in poco tempo questo obiettivo? Semplice!

Utilizzando le ricette di cucina.

Per scrivere una ricetta c’è bisogno di conoscere unicamente:

A) una dozzina di verbi all’infinito (tagliare, sbucciare, frullare, mescolare, separare, spremere, bollire, cucinare, aggiungere, lasciare, raffreddare, servire);

B) alcune preposizioni: di, con, per, a, in ;

C) una decina di nomi di utensili e apparecchi da cucina (coltello, cucchiaio, bicchiere, piatto, frullatore, padella, pentola, forno, griglia, frigorifero);

E gli ingredienti?

Ecco il secondo punto vantaggioso dello scrivere ricette! Lo studente apprenderà vocaboli di uso frequente con una finalità pratica immediata: dar vita a un testo completo ed efficace. Si assiste qui a una inversione rispetto al metodo tradizionale che utilizza il testo o le frasi ripetitive per far memorizzare i vocaboli. La parola nuova è invece protagonista e ricercata.

Alcuni suggerimenti:

1- Chiedete ai vostri studenti di fare uso di post-it da attaccare sugli ingredienti e strumenti della loro cucina. È un metodo infallibile e divertente per fissare nuovi termini nella memoria.

2- Nel caso di uno studente individuale, proponetegli di scrivere un ricettario con un piccolo glossario allegato. Nel caso di una classe, chiedete agli studenti, a rotazione, di leggere la propria ricetta ai compagni perché possano prendere appunti e, quando ciò sia fattibile, anche di portarne una dimostrazione pratica

3- Mostratevi interessati alle ricette tradizionali del luogo di provenienza dell’alunno. In questo modo lui/lei si sentirà a proprio agio per quel che riguarda i contenuti e potrà concentrarsi sull’uso corretto dell’italiano

4- Leggete ricette italiane durante la lezione e lasciatele agli alunni perché possano realizzarle a casa (senza sbirciare sul vocabolario però!)

La lezione è servita!

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Pronuncia e intonazione (2): cose da NON fare

Giugno 21, 2019 by itxstra

La parte (1) si trova qui

1) Non chiedere senza dare. Se il capitolo “pronuncia ed intonazione” non fa parte del nostro piano didattico, è perfettamente inutile correggere occasionalmente errori relativi ad esso. In un certo senso è persino ingiusto, poiché non lo abbiamo stabilito come argomento degno di essere preso in considerazione da parte dell’alunno. Se invece abbiamo introdotto il tema già da alcune lezioni, (come? Date un’occhiata alla parte 1) possiamo iniziare a correggere pronuncia e intonazione.

2) Evitare gli eccessi. L’enfatizzare eccessivo di pronuncia e intonazione risulta posticcio quando non in armonia con la conoscenza reale e sedimentata della lingua. Non imponiamo allo studente la meta di una pronuncia impeccabile e un’intonazione formidabile in tempi brevi. Piuttosto, prefiggiamoci come obiettivo a lungo termine per lui/lei un modo di parlare chiaro ed efficace. È importante che l’alunno sappia “come lo direbbe un italiano”, questo lo aiuterà enormemente nella comprensione. È cruciale, poi, che si impegni a riprodurre tale modo ma senza uno sforzo esagerato. Altrimenti risulterà caricaturale.

3) Non buttarsi giù. Gli esercizi di pronuncia non danno immediatamente i propri frutti. Anzi, per settimane ci sembrerà che l’alunno non avanzi di un millimetro Per questo motivo è molto importante non scoraggiarsi. Eh lo so, sembra scontato… Ma mantenere alto il morale dell’alunno e il proprio è fondamentale! Il miglioramento “a scatti” ha una sua logica: i muscoli devono allenarsi a produrre nuovi movimenti, e dunque, suoni.

4) Non alzare troppo velocemente il livello. Per evitare di demoralizzare l’alunno (vedi il punto 3) è meglio non metterlo nelle condizioni di sbagliare molto. Iniziamo da cose semplici e alziamo gradualmente l’asticella. È meglio avere pochi errori su cui lavorare piuttosto che (forse galvanizzati dai primi successi) lanciarsi subito verso ardue imprese.

5) Non abusare delle correzioni. Quando lo sforzo non è concentrato unicamente su pronuncia e intonazione, meglio essere flessibili nelle correzioni. Sta alla sensibilità di ciascuno stabilire quando insistere o meno. È bene, in ogni caso, essere coerenti: nella stessa lezione/fase della lezione o si corregge sempre uno stesso errore o lo si ignora. Altrimenti manderemmo un messaggio contraddittorio.

6) Non limitarsi all’esercizio di inizio lezione. Per velocizzare il processo di apprendimento è sempre utile registrare tanto noi stessi quanto l’alunno. Inoltre potremmo suggerirgli attività di ascolto da svolgere a casa. Troverete una fonte pressoché inesauribile di materiale da ascoltare (e ripetere!) qui.

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