Italiano per stranieri!

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Attività per rimescolare gli studenti

Luglio 25, 2016 by itxstra

di Chiara Pegoraro

La lezione è avviata, voi state seguendo le attività che avete programmato, e tutto dovrebbe filare liscio. Invece a mano a mano che la lezione va avanti, vi accorgete che c’è qualcosa che non funziona. Da un lato della classe ci sono due ragazze immerse in una fitta conversazione, una coppia sta tubando felicemente indisturbata, due tedeschi si scambiano battute in tedesco mentre uno spagnolo li osserva annoiato e i due studenti più deboli sono finiti insieme e nessuno dei due sa bene cosa deve fare.

Per quanto prepariate con cura le vostre lezioni, a volte è inevitabile che si creino momenti così. Bisogna prendere in mano la situazione e ravvivare la situazione dando una bella rimescolata agli studenti. Non temete di farli spostare e non temete gli sbuffi che causano queste manovre. È ampiamente provato che un po’ di movimento, anche se minimo come in questo caso, serve a liberare la mente e a favorire la concentrazione. Ecco quindi alcune idee per cambiare le coppie e le dinamiche all’interno della vostra classe.

Tutti in fila per…

Potete dire loro di disporsi in ordine alfabetico, o per la data di compleanno, da nord a sud per città di provenienza, per numero di lingue parlate o per quanto tempo impiegano per venire a scuola. Ogni categoria è buona e costringerà gli studenti a chiedere informazioni agli altri per capire dove posizionarsi. Una volta messi in ordine, con quelli nati a gennaio a un capo dell’aula e quelli nati a dicembre all’altro, dovranno sedersi rispettando lo stesso ordine.

Le carte

Potete usare delle vere carte da gioco, come abbiamo spiegato qui, oppure stampare dei materiali apposta. Ogni studente riceve una carta e deve trovare lo studente con la carta corrispondente. Potete dare a metà classe delle foto e all’altra metà dei cartoncini con il nome dell’oggetto nella fotografia, oppure tagliarle a metà in modo che gli studenti debbano cercare chi ha l’altra “mezza mela”. Per i livelli più avanzati potete introdurre la regola di non mostrare le foto ma descriverle.

L’anima gemella

Questa attività si presta anche come rinforzo del tema trattato a lezione. Prendiamo come esempio il cibo. Ogni studente deve trovare la sua anima gemella, cioè uno studente con cui ha in comune almeno un piatto preferito. Ricordatevi di dire che l’anima gemella non può essere la persona seduta a fianco. Una volta trovata, dovranno sedersi di fianco all’anima gemella e continuare a lavorare con lui/lei per il resto della lezione. In questo modo gli studenti cambieranno compagno e faranno domande usando il lessico appena imparato.

Buon rimescolo!

Altri articoli utili per docenti di italiano L2

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Più grammatica o più conversazione nelle tue lezioni?

Luglio 21, 2016 by itxstra

di Maria Chiara Barsanti

Ecco l’eterno dilemma degli insegnanti di lingua: durante le mie lezioni devo dedicare più tempo allo studio della grammatica oppure alla conversazione?

Io credo che l’errore sia già nell’impostazione della domanda poiché la questione è: vuoi insegnare ai tuoi studenti a parlare l’italiano o vuoi insegnargli a parlarlo bene?

Se la tua risposta è la seconda, sappi che dovrai trovare di volta in volta il giusto equilibrio. Ogni lezione deve avere una parte dedicata allo studio della grammatica ed una alla conversazione, ma non è detto che debbano essere necessariamente tutte uguali.

Magari una volta potrete impiegare due ore per spiegare il congiuntivo e la successiva altre due per metterlo in pratica con esercizi concreti; l’importante è che le tue lezioni siano sempre stimolanti e divertenti.

Bisogna spronare gli alunni a parlare in italiano, ma bisogna soprattutto dar loro gli strumenti corretti per farlo. Tralasciare complesse spiegazioni di temi grammaticali perché noiose non aiuta, anzi spesso costringe a tornare più volte sullo stesso argomento perché non è stato capito appieno o interiorizzato nei tempi e nei modi giusto.

Potrei dirti di avere sempre una schematica divisione del tempo a tua disposizione, ma invece ti dico di sfruttarlo al meglio preparando con anticipo le tue lezione e preventivando di dedicarti a tutte le fasi dell’apprendimento. Nessuna di esse è meno importante perché solo insieme danno una formazione completa.

Sappi che ci sarà sempre qualche alunno scontento (per l’appunto chi vuole più grammatica e chi più conversazione), ma poi sarà lo stesso che andando avanti nello studio si aspetta maggiore precisione e meno dilettantismo.

Il mio parere a riguardo è: se un principiante parla in maniera spigliata con qualche piccolo errore, non riprenderlo, lascia che si esprima in libertà. Viceversa, dagli molti compiti scritti per casa di modo che si alleni a non sbagliare.

Se invece uno studente intermedio fa errori banali, magari i soliti su un argomento imparato male dall’inizio, sarà necessario insistere sulla correzione. Non cercare la perfezione, ma almeno il miglioramento costante.

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‘Lettera a una professoressa’

Luglio 11, 2016 by itxstra

di Roberto Gamberini

Nel 1991, per i tipi di Mondadori, è stata pubblicata una raccolta di saggi di Italo Calvino dal titolo Perché leggere i classici. Il libro riporta una serie di interventi attraverso i quali, nel corso degli anni, Calvino spiegava l’utilità della lettura di alcuni testi chiave del nostro canone: dall’Odissea a Crusoe, da Hemingway a Flaubert, veniva tessuta una rete di letture chiave utile per poter apprezzare i classici della nostra tradizione (e non solo). Con questo intervento vogliamo (con il rispetto e la sudditanza nei confronti di uno dei più grandi intellettuali del nostro tempo) provare a fare lo stesso, a ipotizzare un Perché leggere i classici della glottodidattica, dell’insegnamento dell’italiano a stranieri, della linguistica, della sociolinguistica… Manuali, romanzi, saggi: ci sono molti testi essenziali che ogni insegnante dovrebbe conoscere per il suo sviluppo professionale e, perché no, umano. Queste schede di lettura vogliono proprio suggerire una bibliografia minima per chi si affaccia per la prima volta al mondo dell’insegnamento.

Lettera a una professoressa
Scuola di Barbiana
Libreria Editrice Fiorentina, 1967

“Cara signora, lei di me non ricorderà nemmeno il nome. Ne ha bocciati tanti”.

Inizia così, con un j’accuse nemmeno troppo velato, uno dei manifesti dell’educazione linguistica italiana, un testo fondamentale per chiunque si sia mai interessato di alfabetizzazione, di democrazia linguistica e di politiche scolastiche inclusive.

Sono passati quasi cinquant’anni da quando i ragazzi della scuola di Barbiana, un’esperienza educativa fondata sulle colline del Mugello da don Lorenzo Milani, pubblicarono le Lettera. Cinquant’anni nei quali la scuola italiana è cambiata molto, ma che ancora sembra dover risolvere dei nodi evidenziati da quegli otto ragazzi e dal priore che li guidava.

Per comprendere la Lettera è fondamentale capire il contesto nel quale questo documento è nato. Barbiana è una frazione di Vicchio, siamo nelle colline sopra Firenze, in zone che negli anni ’50 soffrivano una grande arretratezza economica e culturale. L’analfabetismo dominava tra i giovani e l’abbandono scolastico era altissimo. I figli dei contadini della zona non avevano altra prospettiva che ricalcare le orme dei padri e dedicarsi al lavoro nei campi sin da bambini. In questi luoghi, don Lorenzo Milani, giovane sacerdote fiorentino esiliato a Barbiana da una curia che lo considerava troppo scomodo, fonda una piccola scuola destinata proprio a questi ragazzi condannati all’analfabetismo.

Nella scuola di Barbiana i figli dei contadini imparano a leggere, scrivere, fare di conto e prepararsi per gli esami della scuola pubblica; di quella scuola, insomma, che invece di abbracciarli e accoglierli, li respinge senza possibilità d’appello.

Lettera a una professoressa racconta proprio questa avventura: un po’ manifesto, un po’ diario di viaggio, un po’ atto d’accusa, è una lunga lettera rivolta a una professoressa che “ne ha bocciati tanti”, una di quelle che i ragazzi della campagna li allontanava dalla scuola senza effettivamente farsi domande, senza interrogarsi sui loro bisogni, sulle loro necessità e sui doveri della scuola pubblica italiana.

Partendo dalle loro esperienze, dalle loro storie e dai vissuti di esclusione subiti da parte della scuola pubblica, i ragazzi di Barbiana analizzano dati e documenti per arrivare a quantificare le responsabilità della scuola italiana nei confronti degli ultimi. L’istituzione scolastica è giudicata severamente: “un ospedale che cura i sani e respinge i malati”.

La Lettera sostanzialmente è questo: un messaggio di accusa nei confronti di chi dovrebbe abbracciare tutti, invece esclude molti; un dito puntato contro un sistema pensato a misura di ricchi, di figli di papà, creato per quegli studenti che già sanno leggere e scrivere e che frequentano la scuola come avevano fatto i loro genitori, come è comune nel contesto che li circonda; uno spunto di riflessione dal quale partire per un futuro educativo e scolastico più inclusivo e democratico.

Spunto che non è rimasto del tutto inascoltato: sicuramente il nostro sistema scolastico oggi presenta ancora delle falle, ma sembra ingiusto sostenere che la lezione di don Milani e dei ragazzi di Barbiana abbia trovato un muro nelle generazioni politiche dei decenni a venire. Anzi: di una certa sinistra don Milani è stato per molti anni (forse lo è tuttora) uno dei simboli, citato, spesso a sproposito, ogni qual volta si parli di educazione, di democrazia scolastica, di alfabetizzazione e di abbandono.

L’utilità per un insegnante

Perché un docente di italiano L2/LS dovrebbe essere interessato a tematiche legate all’inclusione, alla democrazia scolastica e all’analfabetismo? Perché la Lettera a una professoressa è da considerarsi un testo chiave anche lavorando in contesti diversi da quelli raccontati dai ragazzi di Barbiana?

In primis perché, e le nuove politiche ministeriali ce lo stanno dimostrando, l’italiano per stranieri sta entrando di diritto come disciplina a sé stante nel panorama dell’offerta della scuola pubblica italiana. L’istituzione della classe di concorso A23, croce e delizia di tanti colleghi che, tra concorsi e ricorsi, sperano di entrare sotto l’ala del MIUR, è dimostrazione chiara (se mai ce ne fosse bisogno) della necessità, anche nella scuola pubblica italiana, delle nostre professionalità: figure formate ed esperte in un settore in forte crescita, che rispecchia, con i suoi cambiamenti rapidi, l’evoluzione di una società sempre più multietnica. La riflessione sull’alfabetizzazione, dunque, si sposta: non riguarda più (o riguarda in minima parte, per fortuna) i ragazzi italiani esclusivamente dialettofoni, ma si sposta sui nuovi italiani, su bambine e bambini per i quali la lingua madre è il cinese, il romeno, l’arabo o il tigrino. E come si sposta l’obiettivo di una nuova alfabetizzazione, così cambiano i rischi di processi che escludono anziché includere, che tagliano fuori quegli studenti che non hanno le competenze linguistiche necessarie per la sopravvivenza all’interno del sistema scolastico italiano. Ed ecco che don Milani e i suoi ragazzi, a distanza di mezzo secolo, hanno ancora molto da dirci.

L’utilità per le classi

C’è un altro aspetto della Lettera molto interessante, ed è quello dell’utilizzo del testo nelle classi di italiano L2/LS. Degli estratti di testo si prestano molto bene già in livelli non alti, sia per la struttura testuale, semplice e facilmente apprezzabile, sia per le tematiche affrontate, molto concrete e di facile comprensione. Né è da sottovoalutare l’aspetto stilistico: la Lettera è, come dichiarato dagli autori stessi, un testo scritto a più mani, nel quale vengono raccontati gli aspetti più interessanti delle scritture collettive: per quelle classi che lavorano su progetti di scrittura creativa, le indicazioni riportate dai ragazzi di Barbiana sono degli spunti di lavoro molto utili, e la Lettera è un ottimo punto di partenza per capire come tante menti, tante mani, se ben guidate, possono produrre un testo organico, coerente e coeso.

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Come introdurre il tema dei dialetti in Italia

Luglio 4, 2016 by itxstra

di Chiara Pegoraro

A me è capitato la prima volta con un amico straniero che parla italiano. Sfinito dopo un pomeriggio di giochi, indicando dei bambini mi disse “È dura, con tutti questi frichi!” “E che cosa sono i frichi?” Mi guardò sbalordito, ma che razza di persona non conosce il significato della parola “bambino”? Il problema è che quella parola, così semplice, non era italiana, ma dialettale. Lui, spagnolo ma con madre marchigiana, che aveva imparato l’italiano nei dintorni di Ascoli Piceno, non se ne era mai accorto.

Tutti gli stranieri che vivono in Italia dopo un po’ di tempo se ne rendono conto. Basta prendere un treno, spostarsi per un paio d’ore e si scopre che in un’altra città tutti parlano in maniera diversa, leggermente se la città è vicina, e completamente se la città è lontana oltre duecento chilometri.

Spesso questa scoperta causa non poco disappunto. Ma come, io mi son impegnato tanto e adesso tutto quello che ho studiato non vale più se vado in un’altra regione? Per questo, da un livello intermedio in su sarebbe opportuno parlare dei dialetti e spiegare ai nostri studenti la ricchezza linguistica dell’Italia. Ecco alcuni spunti per introdurre il tema.

Canzoni

Da “Pizzicarella mia” a “La società dei magnaccioni”, ci sono tante canzoni dialettali che sono conosciute a livello nazionale. Una bella attività sulla pizzica con annessa traduzione del testo è un ottimo modo per introdurre il tema dei dialetti e la cultura che portano.

Video

Dalla famosa barzelletta “Er cavajere nero” a “Ramboso”, Rambo in dialetto veneto, o “Savvatore” la trasposizione de “Il gladiatore” in siciliano, Youtube è ricco di video e parodie in dialetto che lasceranno i vostri studenti a bocca aperta. Attenzione però: visionate con cura il materiale in anticipo per sapere che cosa dovrete affrontare, normalmente i contenuti spaziano dal volgare all’estremamente volgare.

VIVALDI

Ossia il VIVaio Acustico delle Lingue e dei Dialetti, d’Italia che si trova qui. Un progetto importantissimo di raccolta dei dialetti italiani. Se avete a disposizione dei computer, lasciate che i vostri studenti si sbizzarriscano a cercare le varianti di pronuncia di decine di parole e frasi. Oppure, a un livello più avanzato, fate sentire loro gli input e fateli tirare a indovinare sulla regione. Un punto a chi si avvicina di più. Alla fine non vi stupite se vi diranno “m pui pì”, “un ne posso phiù” o “non di bozzo bruzzu”. Cosa significa? Sta a voi scoprirlo!

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Ora leggi: Imparare senza studiare: cinque consigli utili per gli studenti

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Vita dopo la DITALS

Giugno 25, 2016 by itxstra

di Chiara Pegoraro

Avete studiato, fatto il tirocinio, superato l’esame e ora avete in mano l’agognato pezzo di carta. Vi mancano solo degli studenti e una bella scuola dove mettere a frutto le vostre conoscenze e il sacro fuoco dell’insegnamento che vi arde dentro. Avete tutte le carte in regola per fare parte di una professione in cui difficilmente qualcuno vi correrà dietro offrendovi un lavoro il giorno dopo il diploma. E adesso? Ecco alcuni consigli e un monito su come muovere i primi passi:

Cercare lavoro

Iniziate mandando candidature spontanee alle scuole della vostra città. Nel CV siate onesti e non millantate esperienza che non avete, piuttosto sottolineate gli studi e le cose che vi rendono speciali, come abbiamo spiegato qui: I 6 passi falsi nei curriculum degli insegnanti.

Fare lezioni individuali

Pubblicate un annuncio e iniziate a cercare studenti per lezioni individuali. Non avranno il fascino del lavoro con una classe, ma vi permetteranno di guadagnare esperienza e di iniziare a capire come considerare i bisogni dello studente, il vostro datore di lavoro.

Conoscere i ferri del mestiere

Infilatevi in una libreria e passate qualche pomeriggio a sfogliare manuali di italiano L2/LS. Vi forniranno spunti per attività, dinamiche di classe e idee in generale che vi aiuteranno nel lavoro. Lo stesso vale per internet, iniziate a frequentare abitualmente gruppi di insegnanti e siti di didattica, ma se siete qui, siete già sulla buona strada 😉

Attenzione al volontariato

Nelle città italiane più grandi è abbastanza facile trovare corsi per immigrati gestiti da volontari. Partecipare non vi porterà soldi ma esperienza. All’inizio, essere osservati da decine di occhi sbarrati in attesa della lezione, può intimorire. Mettersi alla prova con persone che hanno bisogno di imparare ma non hanno mezzi per pagarsi un corso può aiutarvi molto. Ricordatevi sempre però, che state iniziando il vostro cammino in una professione qualificata, che anche se giovani e inesperti, avete gli stessi titoli con cui hanno cominciato tutti gli insegnanti, e che meritate di ricevere uno stipendio e una formazione professionale. Se fate volontariato, accertatevi che l’ente che fornisce questo servizio sia in realtà un ente senza scopo di lucro che non cerca di arricchirsi speculando sul vostro lavoro. Cercate di sentirvi parte di una comunità di insegnanti. Nessuno ha bisogno che gli ultimi arrivati abbassino la qualità del lavoro. Evitate quindi le soluzioni mortificanti pensando “poi si vedrà”. Siete dei professionisti e pretendete che vi trattino come tali.

In bocca al lupo!

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La poesia in classi L2/LS: strumento didattico o trappola inutile?

Giugno 19, 2016 by itxstra

di Roberto Gamberini

Sull’utilizzo della letteratura in prosa nei corsi di italiano per stranieri si è scritto molto, e nella nostra quotidianità didattica spesso attingiamo allo sconfinato panorama del quale la narrativa italiana ci fa disporre. Il mercato editoriale ci offre anche parecchie antologie già didattizzate per contesti L2/LS, oppure, lì dove altri autori di materiali didattici non sono arrivati, la nostra creatività ci aiuta a rendere apprezzabile dalla classe un testo che ci sta particolarmente a cuore.

L’esperienza ci insegna, all’inizio non senza un certo stupore, che non è difficile introdurre materiale letterario già in livelli bassi: è piuttosto sorprendente come alcuni autori di libri di italiano L2/LS presentino con successo dei testi della nostra narrativa sin dalle primissime lezioni del livello A1! (Un esempio su tutti: Un giorno in Italia, libro di italiano L2/LS edito da Bulzoni, fa lavorare su un testo autentico di Francesco Piccolo già nella prima unità di A1).

In questo contesto la poesia è spesso messa in secondo piano, sia dagli autori di materiale editoriale, sia dagli insegnanti stessi, i quali, nella migliore delle ipotesi, confinano il testo poetico ai livelli di maggiore competenza (C1/C2).

L’obiettivo di questo intervento è invece suggerire praticamente alcuni utilizzi di testi poetici già a livelli elementari. Per un inquadramento teorico del tema, si suggerisce Delucchi (2012).

La prima obiezione: e l’obiettivo comunicativo? A che serve, in un’ottica funzionale, insegnare la poesia? Cosa impara il mio studente principiante leggendo una filastrocca? Impara, altroché se impara! Punto primo: è davvero gratificante, per uno studente che ha seguito dieci ore di lezione, scoprire che può comprendere il significato di una poesia di un grande autore italiano. È un obiettivo che sembra molto distante, ma che in realtà è più a portata di mano di quanto ci si possa aspettare e che ci aiuta a lavorare in maniera mirata sulla motivazione del nostro studente, motivazione che, come sappiamo bene, dopo un picco iniziale rischia di precipitare dopo qualche mese di studio.

Senza contare l’aspetto culturale: troppo spesso rimandiamo ai livelli più avanzati l’introduzione di elementi culturali ben caratterizzanti del nostro patrimonio, elementi che invece il testo poetico ci aiuta a introdurre sin dalle prime lezioni.

Ma non solo motivazioni, gratificazioni e cultura: l’utilizzo di un testo poetico può, anche in A1, essere utile per presentare un fenomeno linguistico che ci interessa introdurre alla classe.

Un esempio: la classe già conosce gli aggettivi regolari dei due gruppi, i sostantivi maschili e femminili, gli articoli determinativi. Il mio obiettivo è far ripassare gli aggettivi regolari e presentare alcuni accrescitivi e diminutivi, e mi faccio aiutare dal buon Gianni Rodari:

Filastrocca corta e matta,
il porto vuole sposare la porta,
la viola studia il violino,
il mulo dice: – Mio figlio è il mulino -;
la mela dice: – Mio nonno è il melone -;
il matto vuole essere un mattone,
e il più matto della terra
sapete che vuole? Fare la guerra!

Già in A1 un testo così ricco? Certo! Di sicuro non capiranno tutto (non è questo il mio obiettivo), ma, complice la ricca musicalità del testo (alternanza tra ottonari ed endecasillabi, figure retoriche di suono), i giochi di parole e i calembour dei quali la poesia è piuttosto esemplificativa, si può essere certi che i versi scorreranno via piacevolmente per tutta la classe. Non conoscono i modali? Non hanno studiato la comparazione? Ma non importa! Noi siamo lì per questo! Li dobbiamo guidare gli studenti verso i significati del testo, quelli più espliciti, quelli più sotterranei, e li dobbiamo condurre il più possibile verso la comprensione dei vari livelli di lettura che il testo offre. L’introduzione degli accrescitivi e dei diminutivi verrà spontanea, anche ricorrendo a disegni o fotografie che rappresentino i vocaboli nuovi presenti nel testo, e insieme a questa non si potrà non pensare ad attività di comprensione e di riuso del nuovo fenomeno osservato.

E perché non lavorare anche sulla produzione poetica?

Già con i principianti la produzione di poesia è un’attività creativa molto interessante. Certo, come già detto, non c’è uno scopo comunicativo vero e proprio, ma le stesse linee guida del QCER ci ricordano che stimolare l’aspetto creativo dei nostri studenti con attività mirate riveste dei grandi benefici funzionali anche in chiave comunicativa.

La produzione poetica è un’attività che si suggerisce per classi ben avviate, e non tanto per la quantità di lingua necessaria, quanto piuttosto per l’atmosfera che dev’essere già consolidata in classe, un ambiente di cooperazione, sereno e nel quale la voglia di mettersi in gioco degli studenti sia palpabile. Richiede anche un quid in più dell’insegnante, il quale dovrà essere in grado di stimolare la classe verso la produzione di idee poetiche, di raccogliere le idee della classe e di dirigere l’aspetto puramente creativo del fare poesia. Dovrà, sostanzialmente, moltiplicare per il numero dei suoi studenti un’azione, un fare che di solito è solitario e mediato, che non risponde ad esigenze e dinamiche di gruppo.

Lavorare con testi poetici è, sia in fase produttiva, sia in fase ricettiva, un’attività molto gratificante per la classe. Forse richiede un piccolo sforzo in più da parte nostra, e riguardo la preparazione delle nostre lezioni, e durante le lezioni stesse, che saranno più fuori dagli schemi ai quali gli studenti sono abituati. Ciò non toglie che si tratta di un’operazione diversa dal solito che può dare risultati realmente esaltanti.

Delucchi F, in Italiano LinguaDue, n. 1. 2012, Il testo poetico nell’insegnamento del’italiano L2/LS.

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Il vocabolario: qualche consiglio per lavorare sul lessico

Giugno 12, 2016 by itxstra

di Roberto Gamberini

Quando studiavo inglese a scuola, a un certo punto della lezione, tipicamente verso la fine, l’insegnante annunciava con un certo guizzo: “E adesso… vocabolario!”. Un incubo. Tendenzialmente veniva selezionato un argomento a caso, del tutto distante dal tema della lezione (tema grammaticale, s’intende), e di quell’argomento ci venivano fornite interminabili liste di parole, leggendo le quali noi, poveri studenti non particolarmente motivati, saremmo stati in grado di dire frasi di indubbia inutilità, di scarso senso e di totale piattezza comunicativa. Avremmo sì saputo dire in inglese “lampadina”, “lampadario”, “plafoniera”, “piantana” e via discorrendo, ma ovviamente ci saremmo dimenticati in pochi minuti del lessico costretti ad apprendere. La fase di verifica, invece, si riduceva a un elenco sconnesso di parole da tradurre in inglese. Senza un contesto. Senza una frase. Senza, soprattutto, un’utilità.

Ovviamente di quel lessico non ricordo una parola.

Lavorare sul vocabolario e sul lessico non è affatto facile. La noia è dietro l’angolo, motivare la classe non è semplice e inserire il lavoro durante la lezione può risultare un grande sforzo: insomma, il lavoro sul vocabolario è tanto utile quanto rischioso.

Il primo punto, al solito, è la motivazione: perché ampliare il mio vocabolario? Creare un bisogno nei nostri studenti, o meglio, farli riflettere su un loro bisogno comunicativo, è il primo, necessario passaggio per poter introdurre una qualsiasi attività, vocabolario compreso. Trovare un’esigenza reale per poter stimolare l’apprendimento del vocabolario da parte dei nostri studenti è sempre il primo punto verso una didattica più precisa, e che effettivamente risponda a un bisogno, a un’esigenza dello studente.

Le tecniche, poi, con le quali lavorare sul lessico sono sostanzialmente due: partire da un testo o partire da un argomento.

Quando si parte da un testo (audio o video) il più delle volte (lo fanno anche molti manuali), dopo una comprensione generale, dopo una lettura analitica, dopo una riflessione grammaticale, si passa all’analisi lessicale del testo stesso. Si cercano le parole non nuove e si spiegano, nella migliore delle ipotesi con un metodo induttivo, i significati di quei vocaboli. Per i livelli intermedi e avanzati questo si traduce in una lista di parole non necessariamente connesse tra loro che gli studenti dovrebbero apprendere non si sa sotto quale mistica influenza. Ipotizzando che in un testo di 500 parole gli studenti non conoscano il 5% dei vocaboli presenti (stima, comunque, al ribasso), questo approccio implica la spiegazione dei significati di 25 vocaboli nuovi. Se la classe impara due vocaboli dei 25, siamo molto fortunati. L’approccio non può essere questo: di un testo letto o ascoltato deve sempre rimanere una percentuale di significato che gli studenti non siano in grado di comprendere. Per carità, più si va avanti con la competenza linguistica, maggiori sono le sfumature che gli studenti sanno cogliere, però se di un testo comprendono il 100% dei significati, vuol dire che il testo proposto è troppo semplice. La soluzione è scegliere un paio di vocaboli sconosciuti nel testo e lavorare su quelli. Un esempio: qualche tempo fa ho letto un articolo di giornale con una classe. Tra la ventina di vocaboli di significato sconosciuto, ho selezionato “memoriale”. Abbiamo desunto dal contesto il significato del termine (dell’aggettivo, nel caso di specie), abbiamo scoperto che esiste un sostantivo identico con un significato molto simile, abbiamo trovato delle espressioni radicate, sia col sostantivo, sia con l’aggettivo (presentare un memoriale, una lettera memoriale…), e abbiamo provato ad ampliare il campo semantico: siamo passati a memoria, memorizzare, memorabile, immemore… Abbiamo, insomma, creato un albero di parole (o una rete, come preferite!): abbiamo creato un contesto, qualcosa che leghi i vocaboli tra loro (in questo caso la vicinanza etimologica e strutturale), un filo rosso per collegare le parole tra loro. E come si collegano le parole, così si attivano i meccanismi dell’apprendimento. Lo studente capisce il sistema della formazione delle parole in italiano e lo riutilizza creativamente con altre parole-basi. Stiamo insegnando, dunque, non solo le parole legate a memoria, ma anche stiamo mostrando come lavorare con le parole, cosa farne, come crearne di nuove…

C’è chi preferisce partire da un argomento, magari legato al tema della lezione, e da quello creare una rete di significati affini (ma strutture diverse). Leggiamo un testo che parla di piante e introduciamo: vaso, giardinaggio, potare, vivaio, ramo, sempreverdi, rampicanti, concime… Questa seconda modalità pare più utile soprattutto nei livelli bassi, dove, aiutandoci magari con immagini o con sussidi appositi, è più comodo fornire il vocabolario necessario a descrivere un contesto. È un tipo di lavoro decisamente più funzionale, che attiva in misura minore la creatività degli studenti, ma che consente, tra l’altro, delle attività di riuso più pratiche e adatte anche agli elementari.

Il riuso, lo sappiamo bene, è fondamentale: nell’immediato capiremo se gli studenti hanno veramente compreso il nuovo lessico; a distanza di tempo noteremo se il lavoro svolto è stato appreso o effettivamente acquisito.

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3 esperienze che ogni insegnante dovrebbe fare (almeno una volta)

Giugno 7, 2016 by itxstra

di Chiara Pegoraro

Corsi, aggiornamenti, riviste, articoli e seminari, sono tutte esperienze che cerchiamo di fare di tanto in tanto per stimolare la nostra crescita professionale. Oggi invece voglio parlarvi di alcune esperienze di vita che ogni bravo insegnante dovrebbe fare, almeno una volta.

Studiare una lingua straniera, meglio se esotica, meglio se in un corso L2

C’è un paradosso nella nostra categoria. Un insegnante di yoga è stato uno studente di yoga. Lo stesso vale per un professore di matematica, un istruttore di pugilato e un maestro di clarinetto. Questo è un paradosso: la lingua madre è l’unico campo della trasmissione del sapere in cui chi insegna non è stato studente a sua volta. Il rimedio migliore a questo problema, purtroppo, non è il corso di spagnolo alla biblioteca di quartiere.

Provate invece a cimentarvi con una lingua completamente diversa dalla nostra. Provate l’ebbrezza di sentire o leggere un testo dove non avete nessun appiglio per la comprensione. Osate con qualche lezione di arabo, turco, cinese o giapponese, imparerete più cose sullo shock linguistico che leggendo mille trattati di glottodidattica. E già che ci siete, se avete dei soldi da spendere, potete fare una vacanza molto intelligente e frequentare un corso L2. Quando tornerete forse non saprete perfettamente l’arabo, il turco, il cinese o il giapponese, ma sarete senz’altro insegnanti più preparati.

Vivere all’estero

Di solito funziona così: cinque anni di inglese alle superiori, tre all’università e quando arrivi in Inghilterra, sei comunque confuso. Studiare una lingua in una scuola e viverla tutti i giorni sono due cose ben diverse. E soprattutto vivere da immigrato, non da turista, non da studente, ma da persona che tutti i giorni fa la spesa, lavora e chiama casa un paese straniero. Lo shock culturale avrà un significato ben chiaro solo quando sarete completamente immersi nella realtà di un altro paese.

Fare un corso di teatro

Dentro ad ogni insegnante c’è sempre un grande attore, lo diceva pure Checov. Dall’uso e la proiezione della voce, da come si muove nel palco/aula, alla capacità di tenere in pugno il pubblico/classe, sono molte le aree in comune fra il lavoro di insegnante e quello di attore. Provate a fare un’esperienza diversa dalle solite e per un anno iscrivetevi a un corso di teatro. Poi portate in classe quello che avete appreso, non ve ne pentirete.

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4 oggetti low-cost per movimentare una lezione

Maggio 30, 2016 by itxstra

di Chiara Pegoraro

La vita a scuola, si sa, alla lunga diventa routine. Ecco quattro oggetti da usare per movimentare le lezioni per una spesa totale di 15 euro, a portata di insegnante sottopagato.

1. Campanella da albergo4oggetti1

Uno dei trucchi più classici per mantenere l’attenzione è di stimolare la competitività degli studenti. Qualsiasi esercizio di grammatica diventa più animato se trasformato in un quiz a squadre. E qualsiasi quiz sembra più realistico se i concorrenti hanno un pulsante da premere. Prezzo 3,00€

4oggetti22. Post-it

Questo è uno degli oggetti più scontati. Le borse dei bravi insegnanti devono sempre avere una buona scorta di post-it. Si possono attaccare sui compagni, sugli oggetti o sui vestiti quando si studia il lessico. Se ci scrivete sopra le preposizioni e li date agli studenti da attaccare alla lavagna in corrispondenza di un esempio, diventano un ottimo strumento per la grammatica induttiva. Prezzo 1,50€

3. Mazzo di carte4oggetti3

Anche quelle da poker vanno bene, ma quelle da briscola sono perfette. Esotiche (ci sono solo in Italia) e con le varianti regionali, per gli studenti sono spesso degli oggetti curiosi. In classe sono ottime per rimescolare gli studenti. Per esempio, dopo un po’ che è iniziata la lezione vi rendete conto che le coppie che si sono formate all’inizio non vanno più bene. Alcune sono troppo lente, altre troppo veloci, altre sono troppo amiche e non fanno altro che chiacchierare. Distribuite le carte e raggruppateli di nuovo, coppe con coppe e fanti con fanti. È l’oggetto più caro che vi propongo oggi, ma di solito ne abbiamo tutti almeno un mazzo in casa. Prezzo 7,00€

4. Timer da cucina4oggetti4

Spesso a scuola si fanno attività a tempo. Con alcune tecniche poi, se la classe è mediamente popolata, la situazione diventa abbastanza rumorosa in fretta. Voi dovete girare tra i banchi, controllare il lavoro degli studenti, prendere mentalmente nota delle correzioni da fare alla fine e vedere che tutto proceda regolarmente. Levatevi un pensiero e non controllate l’orologio ogni trenta secondi. A inizio attività fate partire il timer e quando squilla, è finita. Prezzo 3,50€

E voi, avete qualche materiale a basso costo del cuore?

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Le certificazioni che servono per insegnare italiano

Maggio 23, 2016 by itxstra

di Chiara Pegoraro

Il lavoro di insegnante di italiano per stranieri purtroppo non gode di un riconoscimento istituzionale. Questo ha contribuito negli anni al proliferare di corsi di specializzazione, certificazioni, master, corsi di laurea e tirocini. Per chi sceglie di avvicinarsi a questa professione la tentazione di riempire il proprio curriculum di titoli e certificati è forte, ma non sempre paga. Oggi cercheremo di dare qualche consiglio su come scegliere al meglio.

1. Val più la pratica della grammatica

Ricordatevi bene questa regola perché poi vi tornerà utile quando insegnerete. Applicata alla formazione insegnanti significa di non prescindere da una formazione pratica. In teoria la differenza principale fra master e certificazioni sta nell’esperienza pregressa. La certificazione serve appunto a certificare competenze già esistenti, mentre il master è un corso di studi professionalizzante volto a creare esperienza e competenza teorica. Nella pratica invece sappiamo tutti che i candidati delle certificazioni hanno in generale pochissima esperienza. Che abbiate esperienza o meno, un corso che non ha tirocinio, non prevede affiancamento o osservazione in classi di italiano L2, dovrebbe farvi venire qualche sospetto. Come può prepararvi a insegnare un corso dove non vedete mai uno studente? Il tirocinio può essere difficile da organizzare e poco accessibile per chi studia e lavora ma è necessario.

2. L’importanza del nome

È brutto ammetterlo ma finché non ci saranno requisiti standard dettati dalla legge, il nome dell’istituzione che rilascia la certificazione ha importanza. Non scegliete un corso solo perché costa poco e si trova dietro l’angolo, controllate che provenga da un’istituzione seria. Ma allo stesso tempo…

3. Non la sciatevi incantare dalle sirene

Il nome non è tutto. Verificate che oltre al nome, l’istruzione che offre il corso goda di una fama meritata. Parlate con qualcuno che lo ha fatto prima di voi e valutate anche in base alla sua esperienza.

4. Solo per i non-madrelingua

Se volete diventare insegnante di italiano ma non siete madrelingua, diffidate delle scorciatoie. Alcune istituzioni si accontentano del B2, altre vogliono il C2. Siate onesti con voi stessi: secondo voi un livello intermedio è sufficiente per insegnare una lingua?

Buono studio!

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